In diretta dall'Asia

Annie Zaidi, Bombay, 2012

Annie Zaidi è indefinibile. Leggendo I miei luoghi se ne capisce una fragilità testarda, una determinazione che viaggia sul filo della sua ritrosia, una ritrosia che poi d’improvviso scompare in certi gesti quotidiani, l’autorità con la quale, poche sere fa, bypassava una fila di persone per ottenere un mio sandwich al bar del Prithvi Theatre di Juhu, dove stavano presentando, in anteprima assoluta, una sua pièce teatrale: Jaal.

Certo, quella sera non poteva che essere al settimo cielo, e poi io le avevo appena messo tra le mani la copia della sua prima edizione all’estero. Ma ancora vedo un’ambivalenza manifestarsi al Festival di Jaipur, pochi giorni dopo: arriva trafelata e in leggerissimo ritardo (1 minuto esatto) a un dibattito di cui avrebbe dovuto essere moderatrice, è desolata, ma non è causa sua: l’organizzazione le ha solo comunicato che avrebbe dovuto introdurre due autori senza fare nomi, le ha dato appuntamento in un posto sbagliato, lei qui nemmeno conosce i due scrittori in questione.

Ma non è arrabbiata: è imbarazzata, ha quel velo sugli occhi delle persone che si sentono prese in castagna, e io le dico: ma fagli un po’ il culo, a questi qua, è colpa loro. Invece lei diligente prende il catalogo, legge le note introduttive dei due autori, e solo a dibattito iniziato si fa portare sul palco dove con vocina flebile prova a tenere le fila del discorso. Facendo, peraltro, qualche domanda azzeccata, e risollevando le sorti di una chiacchierata piatta.

Alla fine viene letteralmente sequestrata da uno dell’organizzazione, si congeda da me con un sorriso di scuse. Ma ve la immaginate Annie nella lurida guest house di una cittadina sperduta a aspettare l’incontro con un pericoloso fuorilegge? Perché nel suo libro, I Miei Luoghi, questa attesa ce la sa raccontare tranquilla, rendendoci partecipi della sua paura, e della sua determinazione ferrea.

Ne fa anche lei, come tanti scrittori, di tutti i colori: teatro, una rubrica fissa su un quotidiano, racconti per varie antologie, un libro a quattro mani che scherza sulle relazioni tra giovani maschi e giovani donne in questo paese di atavico machismo in via di rapida dissoluzione (la vedo spesso circondata da ragazzi che mi sembrano fare da pendant  al suo lato debole, di fragilità: poi invece tiene testa con durezza a un giornalista carino e smart, regge le battute e il tentativo di flirt. Anzi: lo mette al tappeto!).

Ce l’ha un fidanzato, Annie Zaidi? Ha una madre, di sicuro, con cui vive nella lontana Thane (lontana perché a un ora e mezzo dalla Bombay centrale, a due e mezzo da Bombay South), la quale madre la sera della prima teatrale si aggira tra il pubblico mostrando fiera il non-fiction di Metropoli d’Asia, verde e blu. Quando un anno fa le annunciai di avere comprato i diritti del libro Annie mi aveva scritto: ora ho un motivo per essere felice per almeno due settimane.

Pochi giorni fa eravamo ancora ambedue a Bombay. Prima della prima (scusate il gioco di parole), mi ha dato appuntamento a Bandra (appunto: per favore, mi ha detto, risparmiami le due ore e mezzo andare e due e mezzo tornare, vediamoci a metà strada). Bandra è un sobborgo residenziale ricco, con un pezzettino di lungomare che al tramonto viene passeggiato da molti, un paio di colline (Pali, Mount Mary) dove hanno le ville attori famosi come Sha Ru Khan (ma Amitav Bachan vive pochi chilometri più a nord, a Juju, davanti a una lunga striscia di sabbia).

Appuntamento al Bagel Shop, un baretto pasticceria con sedie di vimini sotto la veranda all’aperto: ma Bandra è piena di tuc tuc (autorisciò, se preferite), e il rumore è insostenibile. Niente veranda, restiamo dentro. Peraltro il baretto vende torte, sandwich e dolciumi, ma di bagel non c’è traccia.

La chiacchierata è durata due ore buone, ma anche qui userei lo stesso aggettivo: indefinibile. Una sommatoria di informazioni reciproche. Sentite, partecipate, l’editore che raccontava la voglia di ritornare nei panni dello scrittore, la poetessa che raccontava l’ambizione mai sopita di perseguire un giornalismo d’assalto, di sguardo, di compenetrazione con l’oggetto della sua ricerca.

Un anno fa le avevano offerto un posto fisso in redazione, a Mumbai. Un quotidiano importante che le chiedeva la cronaca di avvenimenti mondani, o lanci di novità elettroniche o aperture di centri commerciali. Annie mi dice: io non ho niente contro questa roba, sono disposta a scriverne e a raccontare. Quello che non riesco a capire è l’entusiasmo: l’entusiasmo di giovani colleghe che sembravano comprese.

Partecipi dell’avventura del lusso che fa mostra di sé. Riunioni di redazioni nel corso delle quali lei si sentiva estranea alla comunicazione fra i presenti, incapace di far parte di quel mondo. Eppure, mi dice, dopo un po’ avevo imparato a starci dentro: dicevo: wow!, e loro mi davano il pezzo sui blue jeans nuovi di zecca. Ma Thane dista due ore e mezzo, che fa cinque andata e ritorno: qual è il senso di perdere tutta la giornata per guadagnare due lire se poi non c’è il tempo per scrivere del suo, a casa. O di fare inchiesta, e proporre il lavoro a riviste degne?

Io penso a quelle riunioni di redazione e immagino una Zaidi un po’ mobbizzata dalle colleghe rampanti. Con le sue due facce le sue due espressioni: quella smarrita, quasi sgomenta, e poi quella limpida, con lo sguardo scintillante di fierezza. I due volti dello scrittore, il dentro e il fuori.

Una volta, a Milano, ascoltai un autore italiano, Daniele Del Giudice, definire lo scrittore come persona che convive con una malformazione: non saper comunicare in forma diretta. Come a dire: la mia personalità non mi consente di esprimermi compiutamente tra le altre persone. E quindi mi nascondo dietro un foglio di carta, racconto d’altro e non di me, e scrivo.

Annie Zaidi, forse, resta a cavallo tra i due mondi, tra l’espressione in forma diretta e la scrittura, nascosta dietro a un computer nella sua casa di Thane. Tra raccontare Phoolan Devi, mitica banditessa indiana, e raccontare Annie Zaidi che si prepara un tè in redazione, sotto gli occhi invidiosi di giornalisti di terza fascia. E alla fine, il racconto c’è, e narra il mondo.


Categoria: India



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