In diretta dall'Asia

Non ho l’età

C’è una contraddizione tra il desiderio di capire chi sono questi giovani scrittori – e non solo scrittori cinesi, ma India, SudEst, e tutte quelle capitali finanziarie da Asia emergente come Hong Kong, Singapore, Kuala Lumpur – che cosa gli frulli per la testa, di quale campo di forze subiscano l’attrazione gravitazionale, in che acque si muovano, siano essi più grossi squali cinesi di levatura continentale o pesciolini indonesiani, o indiani tanto incerti quanto feroci – dicevo: c’è una contraddizione tra la ricerca di un continente giovane, delle tematiche nuove che ci propone, e invece i miei quasi sessantanni: anche perché io, dei giovani italiani cosa so veramente? Dei venti dei trenta o dei quarantenni? Il lavoro precario come ideologia nazionale, il web, un bel grado di solitudine forse, la pippata del sabato sera o il progetto per un futuro che non arriva mai, o la frustrazione del nessun soldo in tasca e la tentazione del razzismo / bullismo. (Una intuizione possibile: è la solitudine il dato comune tra  Asia e Europa giovani? Una solitudine vissuta per branchi?).

Contraddizione, certo: eppure le cosa sghembe sono il sale della vita. Mi rendo conto, io, di avere un altro passo, tempi più dilatati, anche del pensiero. Rischio di essere osservatore troppo distaccato (attento: il soggetto che osserva modifica la realtà osservata, nella fisica nucleare come nella psicanalisi; e pure qui). E comunque non è voyerismo, il mio, non è dal buco della serratura che spio questa realtà altra non solo per geografia ma anche per età: ci sto già dentro come editore, ho messo i piedi nel piatto cinque anni fa e non mi ci sono ancora levato.

In fondo io, il giorno che  mi trovo a confronto con una scrittrice quasi trentenne in Cina, a far domande e tentar di pedinare il flusso dei suoi pensieri, e inzigare, provocare, ammansire, negare, annuire, io mi vedo come un acrobata: ne ho ancora l’energia, capelli bianchi o no: faccio le mie capriole, poi mi alzo in una verticale a testa in giù, e da là sotto getto le mie domande a raffica, intervisto, pago da bere, cercando profondità nell’alcol e nel rumore dei locali rumorosi. Lei mi osserva incuriosita, sorride, sta al gioco. Lancia occhiate pure lei, appunto, sghembe. Mi pare si diverta. Vuol sapere chi sono io, e di conserva è disposta a inventar qualcosa di più su di sé. Ecco che scatta il feeling. Prende quattro arance dal tavolo e le fa girar per aria, perizia da giocoliere stagionato, altro che giovane età. Prova con cinque mele: sono troppe: non ce la fa. E’ contenta lo stesso: ha coscienza del limite, certo.

In fondo in fondo, è soprattutto confusa, sconcertata: sono così, i trenta quarantenni cinesi. Feroci magari (quando con le spalle al muro), come succede a chi fiuta il pericolo attorno a sé, in un paese  che non è mica facile (il figlio unico cinese – figlio unico per legge dello stato dalla fine anni settanta- , che è lui investimento economico di una famiglia su una quale non può contare, non c’è neanche lo spazio per un materasso in terra, lì. Può solo sperare che l’economia continui a tirare come si dice in gergo: il giorno che la Cina si pianta, altro che bamboccioni, qui si farebbe la fame anche in città).

(Paradossale poi che io, in una giovanilissima età non così lontana dalla sua, mi tenessi una copia del libretto rosso in casa, e straparlassi di Ciu En Lai e Lin Piao, e della verità della Rivoluzione Culturale non ci avessi capito proprio nulla, entro i miei ventun anni: ma questo non lo racconterò mai: mi autocensuro, in Cina. In Italia ho già fatto ammenda: ero piccolino. Perdono, perdono).


Categoria: Cina



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