In diretta dall'Asia

Temi cinesi (con molto Ou Ning)

Cineserie, potrei dire?

Ho incontrato sei, sette autori interessanti, e naturalmente non basta: devo ancora leggere molto, di loro, prima di poterli reincontrare. Ma vale la pena di fare un po’ il punto, soprattutto sui temi che questi autori rappresentano nei loro scritti, e con il loro modo di vivere. Proviamo un breve elenco.

Cominciamo da Ou Ning, che scrittore non è ma scrive libri, ha un suo blog, e soprattutto delle opinioni forti, appassionate, da ricercatore. Ou Ning guarda all’occidente per trovare nella sua storia (e nel suo presente), le risposte a interrogativi che in Cina non hanno scampo: cioè: in Cina la censura ostacola la formazione di un opinione se non pubblica quantomeno condivisa tra intellettuali, o tra intellettuali e movimenti. Fuori dai confini dell’etica e estetica di regime non riesce a andare: e allora Ou Ning cerca i suoi riferimenti in occidente. Insomma, se la bandiera rossa qui non può essere messa in discussione, e nemmeno può servire da riferimento alle centomila microrivolte che infiammano il paese ogni anno, ecco che Ou Ning va a cercare altre bandiere: l’anarchia, l’anarco sindacalismo, le Leghe di Mutuo Soccorso, persino il panlavorismo di Tolstoj o il pensiero di Kropotkin: il proletariato occidentale di fine ottocento e inizio novecento, prima, appunto, che la bandiera rossa del marxismo leninismo diventasse egemone in quel campo.

Ou Ning cerca un possibile riferimento comune, culturale e ideale (quante volte di sé ha scritto: sono un idealista), un orizzonte entro il quale circoscrivere e collegare le rivolte contro la corruzione dei semplici cittadini, le rivolte contro le condizioni di lavoro impossibile degli operai, le rivolte contro le produzioni nocive degli ambientalisti. Ciò che Bo Xilai, il leader caduto in disgrazia, espulso dal partito e dalla corsa alle alte sfere (tra una settimana si apre il Congresso del PCC), voleva ricondurre al maoismo antelitteram (e vengono un po’ i brividi): proprio perché rimaneva entro i confini segnati dalla bandiera rossa della Cina.

(Su Ou Ning vedetevi l’intervista di Désirée Marianini http://www.china-files.com/it/link/22413/unaltra-campagna-io-la-cina-e-lanarchia e la traduzione di brani dal suo blog http://www.china-files.com/it/link/22433/unaltra-campagna-ricostruzione-rurale )

Tornando alle cineserie, il primo tema è: se dietro di me ci sono sessantanni di rottura di ogni tradizione culturale, e se le tradizioni precedenti (il modernismo in letteratura, il Celeste Impero in caduta libera, qualunque produzione intellettuale ‘repubblicana’ – ergo: prerivoluzione del ‘49) vanno negate, tu come costruisci un tuo spazio, se non guardando all’occidente? Il rischio è di assorbire un po’ a casaccio, e gli errori gravi sono dietro l’angolo (vedi l’interesse per Toni Negri). Ma Ou Ning ha la capacità di andare a scandagliare anche un passato cinese (prima metà del secolo scorso) nel quale gli intellettuali interloquivano con il resto del mondo, e il tema della ricostruzione rurale veniva discusso liberamente. Ou Ning è stato sì in Europa a studiare esperienze occidentali, ma anche in Thailandia, per esempio.

Insomma: l’Asia ci da del nuovo o ci incatena al passato? In qualche modo Ou Ning per me è (neologismo americano) challenging: la sfida è quella di consentirgli di prendere davvero, dalla nostra tradizione, il meglio e non il peggio. In questo caso sono io che ho voglia di parlare e raccontargli, e allora qui l’Asia funziona da stimolo, pungola. Mi mette in pista. (La cosa migliore di Ou Ning: dice, non mi interessa la politica a alto livello, voglio fare cose in piccolo, ma buone).

Il tema della rottura culturale, dell’azzeramento delle tradizioni, riguarda poi gli scrittori come artisti: ben, qui abbiamo una generazione di grandi vecchi (Mo Yan capofila, ma si arriva fino agli scrittori nati nella prima metà dei sessanta) che ha guardato a modelli esterni fin da subito (mi diceva ieri uno scrittore meno noto, He Yi – ne parlerò: “Ci hanno detto che lo scrittore del Terzo Mondo che aveva avuto successo in occidente era Garcia Marquez, e noi abbiamo pensato: forse questa è la strada, il realismo magico”). La generazione successiva è costituita da scrittori che alla metà degli anni ottanta cominciavano l’università: grande fioritura culturale, praticamente tutta la letteratura – e non solo – occidentale tradotta (gratis) in Cina, letture e discussioni che vengono stroncate dalla repressione di Piazza Tien an Men. I più giovani poi, sembrano ripartiti da zero, e si vede.

Il secondo, è il ritorno alle campagne versus l’urbanizzazione: contro quest’ultima si scaglia Ou Ning, perché rompe le società e non ricostruisce, impoverisce i contadini e li costringe all’emigrazione (anche qui: dovrò dirgli che le Leghe di Mutuo Soccorso e l’anarcosindacalismo nascono in occidente dal corpus del proletariato urbano: e che sarebbe interessante se lui potesse rivolgersi a quello – tematica che sarà, purtroppo, stralciata da ogni suo possibile contatto con l’occidente). Dice, Ou Ning, che gli intellettuali in Cina girano il loro sguardo verso le campagne. La ricostruzione rurale. Il modo in cui lui la pratica però, sa ancora di occidente: nello Yianxi vuole introdurre una forma di turismo delle radici, portando visitatori in una regione di costruzioni antiche e bellissime: tanto somiglia al turismo responsabile europeo, o a certe derive ‘gourmet’ (Expo 2015: alimentazione) e la tensione a trovare su questo un incontro tra contadini e intellettuali cade nel vuoto, come è costretto lui stesso a ammettere. (Leggetelo, quel suo post in cui esprime la delusione perché i contadini, alla fine, vedono nel suo turismo rurale solo un modo, dice, di guadagnare di più: “Lo dico tra le lacrime e un mezzo sorriso”).

Proseguiamo: i temi (ma ora più brevemente, quella su Ou Ning è stata quasi una digressione).

La famiglia. Yan Ge figlia unica, che si sottrae alle pressioni e cerca disperatamente di diventare scrittrice per sé, e non per i parenti (o gli editori). A Yi, che sotto la scorza dei suoi racconti cupi, dei suoi cadaveri e dei suoi assassini, rivela l’impossibilità di essere normale a causa delle pressioni di famiglia: non lasciare il posto fisso e ben pagato. Non osare. E, vien da dire, Zhu Wen, con il suo romanzo che narra un’impossibilità di costruirla, la famiglia: una modernità che dissolve la famiglia tradizionale senza costruire un riferimento nuovo. Anche Feng Tang è di questa pasta: e salta a piè pari oltre la famiglia, oltre la coppia. La cosa interessante è che questo movimento che in occidente è durato, diciamo, sei sette decenni (verrebbe da dire: da Elvis the Pelvis ai governatori omosessuali nel Sud Italia) e ancora non ha trovato un suo approdo, qui si sviluppa in un arco di dieci quindici anni. Sai lo stress…

La censura: affrontata da un punto strettamente culturale, di tappo alla creatività. Se funziona come autocensura (tutti concordano) e dunque come freno a mano tirato, da parte degli autori, come può correre libera la loro indagine e come fluisce il processo creativo? E va bene la cultura del limite, ma così è tagliarsi i cosiddetti. Da qui, secondo me, la scelta del registro della commedia (o del realismo magico), che è una scelta di distanza, di autocontrollo e scivolamento nell’automatismo (vedi ad esempio i più giovani quarantenni ‘impegnati’: Xu Zechen, Sheng Keyi, che tendono a raccontare l’urbanizzazione recente, quindi i temi dell’attualità, e gli ‘underdogs’, i derelitti, ma che non sono ancora riusciti a trovare una scrittura energica, potente, contemporaneamente chirurgica ma affiancata da colpi d’accetta, che io mi aspetto di veder venire fuori).

Va bene, non è poco. La cesura culturale nel novecento, urbanizzazione vs ricostruzione rurale, famiglia, censura come castrazione alla creatività. Ne riparleremo.


Categoria: Cina



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