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Yan Ge, parte seconda

Yan Ge oggi era splendida. Ragazzina che gioca a far la donna: tacchi alti, andatura a tono, qualche gridolino di troppo , le frasi sempre un po’ sopra le righe. Poi pian piano, la recitazione si è attenuata, i toni si fanno più soffusi, il passo e il battito tornano regolari: parlando, è venuta fuori la donna vera. Ha coscienza di sé questa giovane scrittrice. E’ appena tornata dal suo primo viaggio oltremare, Olanda, a stupirsi tra l’altro delle donne in vetrina, ma soprattutto a incontrare. Ahmed, lo scrittore iraniano, i traduttori inglesi e olandesi, perfino uno scrittore italiano, si chiamava Tiziano, ma non sa molto di lui, li ha trovati quella sera che erano già stoned – sai: marijuana, che detto a Chengdu, una delle tante capitali del seriosissimo regno di mezzo, mi fa subito guardare intorno. Ci hanno sentito? Ma qui chi parla mai inglese.

Chengdu, Chengdu, la cantava un tal Murong Xuecun, romanziere che però e di Guangzhou, e ne cantava una vita notturna di cui io , in questo passaggio di volata, non ho visto nulla. Ho visto un maestoso viale principale che la attraversa da cima a fondo, bordato di lampioni a goccia multipla, più cinese di così. Un vialone orlato di grattacieli, hotel, centri commerciali per chilometri e chilometri: sette, dieci? Si arriva in fondo: c’è una grande statua di Mao. Non hanno piazza Tien an Men, qui, e si rifanno col viale, o forse è Pechino che avendo l’immensa Tien an Men (mi pare abbiano detto, la piazza più grande dl mondo, o la seconda), non  ha necessità di viali come questo. Ou Ning mi disse: è cambiata molto Chengdu. A me l’avevano descritta nei novanta come una immensa distesa di palazzoni grigi, il peggio che la Cina metropolitana potesse offrire. Oggi scintilla, come Yan Ge.

Ho bisogno di bypassare questa maschera da ragazza alla moda. Domando brusco: ma i tuoi occhi grandi? Sono veri o li hai operati (non straparlo, c’è una favola metropolitana qui in Cina, sulle ragazze ricche che si fanno allargare gli occhietti fessurati dei cinesi), lei risponde come se non capisse, parla di make up. Vien fuori, chissà come, che il suo ragazzo l’ha piantata ieri sera: dico: non avrai difficoltà a sostituirlo, sei una scrittrice affermata, ti invitano in Europa. Mi dice di essere troppo alta (con i tacchi è alta come me). In effetti ha ragione: le ragazze di qui son tutte piccoline, anche un po’ tozze, la faccia tonda. Yan Ge ha lineamenti anomali, allungati: sarà un po’ meticciata? Sarà da qui l’origine degli occhi manga? Me lo appunto mentalmente, poi dimentico di chiederlo. Ahi! In ogni caso lei ha sofferto da ragazza: chi mai si sarebbe fidanzato con una ragazza così alta? Quando dice sofferto, ho capito che soffriva davvero.

Sta di fatto che nelle foto che trovo in giro – autoscatti, direi – lei si riprende sempre un po’ dall’alto, di modo che il viso si arrotonda e gli occhi risultano ancora più enormi: e infatti cosi la disegnano sul sito di Crossing Borders (il festival olandese).

Ma, appunto, lasciamo andare gli occhi: ha venticinque anni, Yan Ge, e sotto la pellaccia pubblica c’è una persona adulta: come sempre succede ai giovani, adulta a sue spese. Chiacchieriamo bene qui al Bai Ye (Notti Bianche, da Dostojevski), che è un bel lounge bar nella parte vecchia della città, dove gli edifici tradizionali – i soliti mattoni grigi, tetti a riccioli, come Pechino – sono stati preservati (o meglio: ricostruiti uguali) e naturalmente è fiorita la zona chic, ristorantini, musica, locali, negozietti di cianfrusaglie, cineserie, carinerie varie. Ma Bai Ye è un posto vero, me lo hanno detto in molti: qui Ou Ning ha lanciato Chutzpah, qui passa l’intellighenzia giovanile di Chengdu: artisti, suonatori, bevitori e mentori di qualcun altro: come da foto appese: c’è anche lei: gli altri son tutti amici suoi, mi dice, questo posto è la mia salvezza. E dagli scaffali vien fuori un libro suo, un bel volume grosso, una sorpresa. Perché nel suo racconto di sé al Bookworm di Pechino (è passato un bel mese abbondante), non me l’aveva menzionato. Scopro, e  mi sorprendo, che è questo il libro che finalmente la non più ragazzina Yan Ge si è data il tempo di scrivere. Sottraendosi alle pressioni degli editori – prima sfornava più di un libro all’anno – si prende il tempo e in due anni e mezzo scrive The Sound of Symphony.

Era dopo il successo di May Queen, storia – lo ammette lei – tragicamente lacrimosa, di una ragazza sola, che ha per amica solo una sorella fittizia: noi ragazze, dice, abbiamo sempre una sorella fittizia, diversa da noi con cui accompagnarci. Le dico che capisco come la solitudine da figlio unico della sua generazione possa moltiplicarsi nelle ragazze: che non sono maschi (e ci sarebbe un lungo discorso sui feticidi, sulla sproporzione tra nati maschi e nati femmine, ma sarà per un’altra volta) e quindi sicuramente meno apprezzate dalla famiglia, svalutate, non volute. Lei non raccoglie: dice solo: è che con le amiche non ti senti mai a tuo agio, perché tra le ragazze, e tra le bambine anche, c’è sempre competizione: con la sorella fittizia risolvi i tuoi problemi.

Quindi tra questa May Queen, e la Dad’s not Dead di cui in Olanda è arrivato un estratto in traduzione (editore internazionale cercasi), c’è stata la lunga gestazione di un romanzo complesso, un flop commerciale – “qualche critico l’ha apprezzato, io me ne vergogno tantissimo, so che non è riuscito, ma ci ho provato, ho voluto provarci e lo sento mio, fa parte del mio processo di crescita” – nel quale Yan Ge ripercorre nientepopodimeno che le prime due sinfonie di Mahler: il Titano lo conosco, dico, la seconda non la ricordo. “Sì il Titano, e infatti comincio con la storia di questo gigante, ma lasciamo stare, non voglio stare a dirti (io non insisto, la lascio parlare), ma io sono contenta: quel libro ha fatto di me una vera scrittrice”. Dice la parola: comporre. Comporre un libro.

Viene ancora e sempre in mente il monito di Eric Abrahamsen, a Pechino: gli autori cinesi puntano troppo in alto, e non raggiungono l’obbiettivo. Meglio volare bassi. Ma non so se è il suo caso.

Lei vede dunque la propria produzione un po’ come un continuum: perché se dopo la tragica May Queen viene il librone spesso e mahleriano, dopo questo arriva Dad’s not Dead, che affronta un tema non facile (la ragazzina alle prese con le molte amanti del padre), ma vira su un registro comico (oh no! – ma tengo per me il pensiero – pure lei torna sulla commedia, la maledetta commedia semigoliardica alla cinese che a me sembra una palla al piede: e tutti ne sono contenti? Abbiate pietà per questi giovani scrittori!).

Ma quel che è importante è lo “streaming” (occhio, Yan Ge, parola sensibile, in letteratura: è un lapsus relativo a un suo personale stream of conciousness?): la sua progressione. La sente così, e sente questo viaggio in Olanda un po’ come una promozione: dopo la robaccia degli esordi, e poi la lacrimona, e poi il libro spesso, e ora la commedia: in realtà, mi dice, lei si sta preparando. Si prepara: a diventare una scrittrice. Che bella questa chiacchierata, in cui le parlo del mio, di modo di sentirmi scrittore. Andiamo avanti a lungo – e son cose nostre, mi spiace. Che chiacchierata adulta, con Yan Ge!


Categoria: Cina



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