In diretta dall'Asia

Gli operai di Monfalcone e Singapore

Venerdì prossimo, nel contesto del programma World Voices, presso la Arts House di Singapore verrà presentato al pubblico e alla stampa locale, nella traduzione inglese di Joan Rundo, il mio A Far Better Thing I Do, che in Italia era uscito anni fa con il titolo Noi Siamo La Classe Operaia. E’ la storia di duemila operai dei cantieri di Monfalcone che nel 1947 decisero di emigrare nella vicina Fiume, in Jugoslavia, con l’intento di contribuire all’edificazione del comunismo: una società senza padroni, una società diretta dagli operai.

Non trovarono quello che cercavano: rientrarono in Italia, nulla raccontando della loro esperienza.

Nel 2002 io passai diversi mesi a Monfalcone raccogliendo la voce dei reduci di quella avventura splendida e terribile, che per alcuni comportò anche l’internamento nei campi di detenzione. Dopo più di cinquantanni questi ‘veci’ – che Claudio Magris seppe definire come ‘Ulissi oscuri’ – trovavano finalmente la forza di raccontare e ripensare le ragioni del loro progetto di costruzione di una società nuova, e i torti di cui si erano macchiati aderendo a un progetto politico totalitario: come si diceva un tempo, nel raccontare la loro storia, trovarono la capacità di separare il grano dal loglio.

E’ dunque, come dicono alcuni, una storia di delusione, ma anche di fiera rivendicazione della giustezza dei loro intenti originari. E’ cosa questa che, a sinistra, raramente siamo riusciti a fare in modo così lucido e generoso.

Sì, ma perchè a Singapore? Nel 2013 dell’Asia rampante?

La risposta sta in una cena di qualche anno fa: intorno al tavolo io, un paio di poeti, e un editore: Fong Hoe Fang, di Ethos Books, che allora conoscevo a malapena. Mi chiesero della mia attività di scrittore, raccontai quella storia. E, verso la fine, con sorpresa io e i poeti ci rendemmo conto che questo signor Fong aveva gli occhi lucidi. Disse: questa storia mi ha commosso.

Ci raccontò la sua, di storia…

L’epopea di una famiglia di proprietari terrieri nella Cina del Sud, che si spaccò in due come una mela con l’avvento del comunismo: il padre di Hoe Fang decise di emigrare a Singapore, ma suo fratello aveva combattuto con Mao Tse Dong nel corso della Lunga Marcia, era entrato con l’Esercito Popolare di Liberazione a Pechino da vincitore, ufficiale di rango elevato e poi dirigente a livello nazionale nella Cina dei primi due decenni di comunismo. Aveva dichiarato: sono felice di spogliarmi delle mie ricchezze, di consegnarle nelle mani del mio popolo.

Era Ministro della Sanità nello stato meridionale del Guandong quando la Cina fu spazzata, alla fine dei sessanta e nei settanta, dalla Rivoluzione Culturale. Deportato lui, e quella parte della sua famiglia  che aveva deciso di rimanere nella Cina comunista, nei terribili campi di lavoro, che stroncarono sua sorella, e dai quali lui risucì rocambolescamente a fuggire, imbarcandosi per gli Stati Uniti dove, nella Chinatown di San Francisco, diventò un ristoratore di successo.

Quando Deng Tsiao Ping all’inizio degli anni ottanta criticò gli ‘eccessi’ della Rivoluzione Culturale, anche questo zio fu richiamato nel paese, riabilitato con tutti gli onori. Gli venne offerto un posto importante nel governo: rifiutò. Disse no grazie, la mia delusione per il comunismo è troppo grande, troppo profonda, troppo traumatica per consentirmi di restare qui.

Tanto passato remoto, in queste mie frasi: l’Italia del ’47, la Cina del ’49. Ma se a Singapore tanti amici scrittori, poeti, giornalisti, librai mi ascoltano raccontare quella storia così interessati è perchè la parola che mi sento ripetere in continuazione, ‘disillusion’, significa molto anche qui, per un movimento democratico e una sinistra sociale che hanno combattuto negli scorsi decenni una dittatura, oggi leggera ma ugualmente oppressiva. La sinistra in ogni parte del mondo si sente spiazzata di fronte al mutamento, alle trasformazioni poderose che in quest’Asia decostruiscono le società e le reinventano di sana pianta. Che domande mi troverò a fronteggiare venerdì sera, dopo il mio discorso introduttivo? Immagino domande sorprendentemente simili a quelle che ci facciamo noi, in Italia, a sinistra.

Ve le racconterò, quelle domande. Che oggi, sono forse più importanti delle risposte.


Categoria: Singapore



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