In diretta dall'Asia

Alla faccia degli indovini

La prima parte di questa storia l’ho raccontata un paio d’anni fa. Un giovane scrittore e filmaker indiano, a Singapore. Per saperne di più si può cominciare la lettura da quel post. Le cose stavano così: sua madre, nella natia Delhi, aveva consultato gli indovini riguardo al futuro di suo figlio. Non uno, ma cinque di quelli, in serie, gli avevano predetto: tuo figlio morirà prima del suo trentesimo compleanno.

Madhav Mathur, davanti a una birra a Singapore (la mitica Tiger del Sudest asiatico), mi aveva confessato che, sì, le sue occhiaie gli derivano da un’insonnia pesante. Due, tre ore per notte: il massimo che possa concedersi, e poi, al lavoro: scrittura, regia e script, perfino pittura, oltre alle marchette per la pubblicità e a un impiego da consulente finanziario part time. Insomma: pur non credendo a quelle stupidaggini, la paura si incistava profonda nell’inconscio: la vocina maligna diceva: devi fare entro i trent’anni quel che gli altri fanno in una vita intera.

Il mio post l’avevo intitolato: Un indovino gli disse.

Corre quest’anno un anniversario riguardo a Terzani. Scherza coi fanti, ma lascia stare i santi, mi disse allora qualcuno. A un libro di Terzani facevo riferimento: a partire da una profezia che gli vieta di prendere aerei nel corso di un certo anno, Terzani viaggia solo via terra, e così facendo attraversa numerose frontiere, spesso luoghi remoti, atipici, indistinti.

Belli quei luoghi. Buono quel libro, ma con il solito difetto che mi ha sempre impedito di amare Terzani: la sensazione di trovarmi di fronte a un viaggiatore che percorre il mondo con uno zaino troppo pesante, carico di giudizi previ. Il contrario del mio amato Kapuscinski. Terzani mi ha sempre dato l’impressione di trovare, ogni volta e invariabilmente, quello che cercava: agli esploratori dovrebbe succedere il contrario: ti muovi, arrivi dove non sai, e incontri quel che non conoscevi. E te ne puoi sorprendere, te ne lasci spiazzare. Chi cerca trova, dice un altro proverbio dei nostri. Ma se la tua intenzione è soverchiante, quel che trovi coincide con quel che cerchi.

Non ho letto moltissimo di Terzani. Oltre a Un Indovino mi Disse, L’Asia, e in tempi antichi il suo primo grande reportage sulla liberazione di Saigon (ero giovane, e lui confermava le mie granitiche certezze). Non ho letto La Porta Proibita, e dovrei farlo adesso, con la Cina del giorno dopo davanti agli occhi. Ma, appunto, non lo ho molto amato, soprattutto per quella fede negli indovini, per quelle acrobazie sciamaniche e filosofiche di cui ha riempito gli occhi propri e quelli dei suoi lettori.

In India frequento scrittori, giornalisti, medici, assistenti sociali, ingegneri e poeti, e quando racconto la mia meraviglia davanti a certe espressioni di religiosità induista (quanto colore, quanta stupefacente barocca narrazione, quante figure mitiche simili a joker Shakespeariani) mi si guarda un po’ storto. L’Induismo è ideologia di supporto a violenza di casta, violenza sulle donne, a politiche xenofobe e nazional populiste: se facessimo all’Islam gli stessi sconti che, in occidente, facciamo all’Induismo, il mondo sarebbe diverso.

L’India è un paese che, nella confusione, nella corruzione, nella vera e propria guerra che oppone contadini e esercito regolare in tante parti del paese, cerca determinata un suo percorso di raziocinio. E in Cina come nel Sudest asiatico le generazioni di intellettuali giovani sono capaci di prendere dalle filosofie orientali solo quel tanto che serve, buttando via l’acqua sporca e tenendosi il bambino (che spesso equivale a buttar via i preti e tenersi spezzoni di filosofie).

Insomma, Terzani non so: anche le sue prese di posizioni politiche mi sembravano orientate da una fiducia ferrea in tutto un armamentario che, pesante, stava nel suo zaino, stipato alla partenza dalla nostra Italia.

Ma qui si parla di Madhav Mathur, il maledetto. L’ho incontrato a novembre, a Singapore. Gli ho dato una bella pacca sulla spalla e ho detto: sono contento di vedere che hai passato i tuoi trentanni!

Beh, disse Madhav. In effetti manca ancora qualche mese. Ma ci siamo vicini.

Mia moglie ha commentato: bravo, adesso lui si toccherà i cosiddetti fino a quel giorno. E io? Io me li sono toccati anch’io, anche se agli indovini non ci credo, né alle scaramanzie, o a qualche cornetto rosso napoletano da tenersi in tasca.

Una volta mi son costruito una specie di tempietto in casa. Ci ho messo tre oggetti: un coltellino regalo di un conoscente durante una festa riuscita assai, il crocefisso regalato a me ateo da un missionario che lavorava nelle infernali baraccopoli di Nairobi, e una fotografia presa nella Cattedrale di Vezelay, nel mezzo della Francia, nota per essere costruita sulle rovine di un tempio pagano (pagano!?) e per i suoi capitelli raffiguranti strani angeli o demoni e semidei: in quel caso la Lussuria e la Disperazione, bella coppia.

Quel bel tomo che mi regalò il coltellino mi ha poi chiesto in prestito dei soldi e non me li ha mai restituiti, il missionario è tornato in Italia e ha iniziato un percorso da predicatore politico denso di universalismi e un po’ messianico (vade retro). La Lussuria, invece, mi garba assai, e la Disperazione ho imparato a tenerla ben al di sotto del mio orizzonte quotidiano.

Madhav Madhur mi scrive, oggi. Ha compiuto trent’anni. Sposa Stasia, bellissima consulente finanziaria di origine russa, residente a Singapore. Mi invita. A scelta: al matrimonio a Delhi, o al successivo party a Singapore.

Salute!


Categoria: India | Singapore



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