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Ancora sui contributi cinesi agli editori italiani

Intanto il gesto: lo scrittore scosta la sedia di un trenta centimetri, si allontana da me, va ad appoggiare i gomiti sull’angolo del tavolo rischiando di far cadere gli occhiali a terra. Lui è a capotavola, noi allineati sul lato lungo, l’interprete tra noi due. La domanda lo spaventa: i contributi cinesi di traduzione all’editoria occidentale, chi li prende, a chi vengono negati: e lui è tra i molti a cui vengono negati.

Il gesto denota il timore dello scrittore che le sue parole siano pubblicate, e che siano in qualche modo compromettenti. Il pericolo non è incombente, non sentiamo tintinnare manette, ma i piccoli fastidi si creano facilmente: un premio letterario in meno, un romanzo censurato in più. Un lavoro su commissione negato.

Non mi va di far nomi, dunque. Ma la politica di appoggio alle traduzioni di romanzi cinesi sta funzionando a tutto vapore, i soldi sono arrivati. Due istituzioni di stato, l’Associazione degli Scrittori e China Book International hanno formulato liste di romanzi da favorire: le liste si possono estendere sulla base di richieste specifiche, però le commissioni incaricate di giudicare bocciano spesso.

Nei fatti, alla censura interna che impedisce all’autore di pubblicare il suo romanzo in patria o glielo sforbicia fino a una castrazione quasi completa, si aggiunge ora una involontaria censura internazionale: e noi rischiamo di diventare complici. Come posso non fare i miei conti quando scelgo se pubblicare lui o un altro? Come faccio a scegliere il suo romanzo migliore, se è un’altra l’opera che pubblicherei praticamente gratis? E’ capitato anche ai migliori: se di un autore di punta manca la traduzione italiana di un paio di romanzi potete star certi che sono quelli fuori lista.

In certi casi si sfiora (accade, in Cina, con questo mix di controllo e corruzione), il ridicolo. Mi è stato raccontato che di fronte all’indifferenza degli editori spagnoli, che come i francesi tendono a pubblicare quel che gli pare, l’Associazione degli Scrittori ha tradotto di suo pugno in spagnolo quindici romanzi ‘meritevoli’. Gli editori spagnoli hanno ignorato la lista quasi per intero: quattordici romanzi inevasi. I quattordici sono stati allora inviati agli Istituti Confucio delle grandi città spagnole che si sono occupati di scovare pubblicazioni ad hoc, magari tra le edizioni universitarie. Ma non basta: i cinesi della diaspora residenti in Spagna o in Francia stanno cominciando a acquistare piccoli marchi editoriali, e i romanzi embedded se li pubblicano da soli, a costo zero. Imprenditori privati del softpower cinese: e fanno i soldi loro.

Softpower, d’accordo. Lo facevano americani e sovietici cinquant’anni fa: chi ha i soldi non si fa leader del mondo solo con le cannoniere. Ma noi? Noi che si fa? Si accetta, come si diceva un tempo, supini?

La situazione è grottescamente paragonabile a quella tragicamente nota che regna dentro a ogni universo concentrazionario: chi non sta in linea con le regole viene discriminato, e tu sai che se provi un gesto di reazione la tua piccola nicchia difensiva verrà occupata da qualcuno più ligio di te. Ma qui si parla di cultura, degli operatori culturali italiani (leggi: gli editori) che con coraggio stanno affrontando questi anni di crisi, di mali di capo e nevrosi, e di perdite rilevanti. Il fatto è che ci vorrebbe poco. Una letterina pubblica da parte dell’AIE, una denuncia. Un convegnino. Meglio ancora se a muoversi fossero gli agenti: diritto di pari trattamento. Diritto nostro, italianissimo o occidentale di fare le nostre scelte. Tra l’altro l’effetto deleterio della doppia censura, quella in Cina e quella indotta sulle traduzioni estere, non è soltanto politico, non attiene alla sfera della democrazia e della geopolitica. Attiene a quella della creatività artistica, perché qualunque autore si adatti a una forma di autocensura (cioè pensare previamente: quel che sto scrivendo passerà, non passerà?) è un autore che non sta dispiegando appieno le proprie capacità, il suo motore non può andare a pieni giri. C’è un blocco, sbiella, grippa.

A poco valgono allora le lamentazioni sul fatto che un gigante come la Cina ancora non proponga letteratura all’altezza: il difetto, come si dice, sta nel manico.

Qualcuno l’ha già fatto, in altri paesi europei. Scrivere in buona evidenza: “Quest’opera non ha ricevuto alcun contributo dalle autorità cinesi.” E’ già qualcosa.

 

 


Categoria: Cina | Uncategorized



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