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Lu Min. La condanna a morte del giovane amante

Della quarantenne Lu Min mi resta impresso il volto bello ma leggeremente quadro, visto di profilo a guardare il mio interprete. Quando parlo io cerco di fissarla negli occhi scuri sotto la frangetta. I capelli sono tagliati corti, e anche mentre ascolta con gentilezza le mie parole per lei incomprensibili tende ad allontanare lo sguardo dal mio, provocando la mia identica reazione. Finisce che mentre porgo le domande i miei occhi fuggono sulle finestre a vetrata di questo caffè della zona universitaria, pieno di poltroncine e sedie colorate una diversa dall’altra, a simulare un vecchia osteria newyorkese, forse. E’ un locale ampio, un loft, le tubature sul soffitto evidenziate in nero o in grigio, il legno a farla da padrone e qualche scaffalatura gonfia di libri. Anche le lampade sul soffitto o ai muri, e qualche abatjour sui tavolini più bassi, sono una diversa dall’altra. Ci sono pochi Lao Wai (stranieri), la maggior parte degli ospiti sono giovani cinesi, spesso soli con un computer, un quaderno di appunti, un libro tra le mani. Il parquet è dipinto in varie tonalità di grigio e beige. Siamo a Nanchino.

A True Sad Love Story, la copertina tagliata come fosse una busta per lettere, con un finto timbro postale: il titolo originale in cinese è Questo Amore non si Può Spedire, e la traduzione inglese come spesso accade è stampata in caratteri più piccoli, come un pudico strillo di copertina.  Il secondo libro che mi presenta è più recente, in copertina una mappa del Pacifico, e un puntino rosso su Pechino e su quattro città americane, sede della sua storia: che però sembra interessarla di meno, la liquida con un gesto.

I suoi due occhi tagliati come è logico che sia sorridono anche se mi guardano di sguincio, è arrivata vispa, ridanciana. E sa perfettamente cosa dire a un editore europeo: le hanno detto di me, è evidente. Pronuncia le frasi che sa  che io attendo da lei: io voglio narrare il destino dei miei personaggi, la loro reazione intima di fronte al mutamento rapidissimo del mondo che abbiamo attorno. E ritiene di saper esprimere l’incapacità della persona, dell’individuo, a relazionarsi con questa trasformazione.

Le hanno parlato di me: sicuramente Han Dongforse lo stesso Ou NingA un certo punto ho accennato a Pechino, e le ho detto il mio stupore per la mancanza di occasioni incontro collettive: come se gli scrittori non amassero vedersi tra di loro: io li incontro sempre soli, o con la famiglia, gli amici. Dice che a Nanchino è diverso, che spesso si incontrano: lei, Han Dong, Bi Feyu, Su Tong. E conferma, se vado a Pechino e chiedo di incontrare uno scrittore mi dicono di no. Nanchino è piccola: neanche dieci milioni di abitanti…
E’ Su Tong che l’ha introdotta nei circuiti che contano. Lu Min lavorava in un ufficio postale, un giorno si presenta allo sportello Su Tong: solo pochi anni fa. Gli vende un francobollo e intanto lo tempesta di domande, lo incuriosisce con la sua simpatia, gli sottopone i suoi racconti e i saggi pubblicati su molte riviste. Scrive, gli spiega, da quando a quattordici anni lasciò il villaggio per venire a Nanchino, al liceo. Non ha studiato lettere dopo il liceo: è andata subito a lavorare, ha fatto anche la giornalista free lance. Prima di quell’incontro si sentiva arenata nel suo ufficio postale.
Su Tong abitava al 17° piano di un palazzo proprio di fronte, la invita a vedere la città dall’alto. A lei piace pensare a tutte quelle finestre, quegli uffici dove vivono persone che hanno la testa piena  di pensieri.  Ha pubblicato di recente un romanzo che non ha qui con sè (lo considera meno importante?). Prende spunto da un fatto di cronaca: l’esplosione in una fabbrica chimica non lontana dal centro città. Lei scrive La Cena di Sei Persone, destini differenti sconvolti dalla tragedia, due muoiono, due divorziano, una donna avrà un figlio: la fabbrica andava chiusa, le autorità ne avevano decretato la pericolosità, i fumi inquinanti, i lavoratori si erano opposti ma il risultato era stato quel malfunzionamento, e lo scoppio. E’ successo non lontano da casa mia, dice: “Lo spostamento d’aria ha fatto saltare tutte le finestre”.
E finalmente arriviamo al punto: questo romanzo con la copertina in forma di lettera e il timbro di un ufficio postale che non è il suo. Anche qui si parte da un fatto di cronaca: e vien fuori la Cina. La Cina della censura e della repressione dei comportamenti e delle opinioni: che è un po’ random, a volte chiudono un occhio, a volte infieriscono: Loro. Loro, i capi.
Fine anni ottanta festa di adolescenti, in una casa. Diciotto, diciannove anni, momento felice nella vita delle persone, e della Cina che si è aperta alla cultura occidentale, anche alla musica, ma sta per arrivare la mazzata dell’89. Ballano. I vicini telefonano alla polizia. Gli agenti entrano in casa, aprono le porte, trovano due ragazzi in un letto che fanno l’amore.  Il ragazzo, forse perchè più grande, viene condannato a morte. E’ successo anche questo, in Cina, e pure molto spesso.
La storia prosegue in modo quasi inverosimile. Il ragazzo viene ucciso, la ragazza si sente in colpa per lui e contemporaneamente prova vergogna per quello che ha fatto. Il padre del ragazzo la cerca, lei non si fa trovare. Il padre pretende vorrebbe un processo pubblico ma non lo ottiene, vorrebbe poterla accusare: di seduzione. Lei, paradossalmente, si abbandona a una serie di amori, ha perfino un rapporto lesbico. Sa di essere pedinata dal padre del ragazzo, si sente come una spia in un romanzo poliziesco. Finisce che si incontrano, il padre accoglie il senso di colpa della ragazza, lo interpreta come una forma di pentimento. La scena centrale vede la ragazza piegarsi a porgere le proprie scuse al vecchio uomo: che se ne sente liberato, riconciliato.
L’episodio originario è reale, lei ricorda i resoconti dei giornali e le parole delle persone: aveva 15 anni a quel tempo, e il condannato a morte era un suo vicino di casa. Ma il resto è storia di invenzione.
Non posso non chiederle se abbia assistito all’esecuzione, che a quei tempi avveniva nel quartiere del condannato, davanti a una folla che non oso immaginare.
Questa scrittrice di quarantanni non mi da una risposta. Dice che le condanne a morte erano frequenti, e lei ha ricordi vaghi di quando era bambina. Dice che si girava dall’altra parte. Parla d’altro, divaga, dice che non ha inserito la scena nel romanzo, non le pareva giusto. E le lettere, sono le lettere del ragazzo morto alla ragazza – come un fantasma – che ripercorre la propria storia.
Ora non potrebbe accadere. Cambia, la morale sessuale in Cina in questo ultimo decennio, dice Lu Min. E’ cambiata. Mi dice: “E’ cambiata la libido”. I ragazzi più giovani “sono molto vivaci, sessualmente”, e anche la sua generazione registra questo cambiamento, si adatta, nonostante un’infanzia di repressione: “E’ una cosa che può cambiare le persone,” e si riferisce alla libido. Non sappiamo nulla della sua, attendo qualche parola, provo a buttar lì delle mezze frasi ma lei non si sbottona.
Provo a stanarla. Le racconto di Yan Ge, che a quel dibattito a Pechino diceva che lei inventa personaggi per la curiosità di essere qualcun altro. Disse: “vorrei essere una prostituta”. Lu Min ride contenta. Conosce Yan Ge: “Siamo amiche.” E allora stana me, questa bella donna: e tu? tu cosa scrivi? e perchè scrivi?
Finisce che le racconto come ho cominciato: il mio primo, mai pubblicato racconto, concepito al buio in una notte d’inverno, nella baita in montagna. Frase per frase, tutto nella memoria. Scritto su un quadernino il giorno dopo, mentre gli amici andavano a sciare. E il primo tra i racconti pubblicati, ambientato in Tanzania dove avevo vissuto per un anno grazie a una borsa di ricerca. E questi occhi che ridono e non mi guardano mai in faccia mi spingono più in là: questi due racconti, quelli che in caffè newyorkese di Nanchino ho raccontato a Lu Min, li ho scritti mentre la mia prima moglie era incinta dei miei due figli. Le dico: non so in tutto ciò, cosa c’entri e se c’entri la libido.
Non l’ho più vista, Lu Min. Abbiamo finito con qualche frasetta sullo scrivere fiction o non-fiction (quella che scrivo io), mi ha snocciolato qualche nome, Naipaul (non-fiction), Graham Green. A Yi (perchè sa che voglio pubblicarlo), Yan Ge (perchè sa che l’ho incontrata più volte). Non c’è condanna a morte se si prova a sedurre un editore straniero. Se ne deve andare, Lu Min. A teatro. Dice dove cenate? Io dico, vuoi cenare con noi, viene Han Dong. Lei risponde no, dicevo per dire, volevo consigliarvi un ristorante. Andate a vedere le mura Ming e il lago. Volevo vedere il ponte, rispondo. Lei dice: il ponte? E cosa c’è da vedere? E’ inutile.
Eh. Poi ho chiesto il biglietto da visita del caffè, per tornarci. Me lo hanno dato: ci sono undici indirizzi: undici caffè così, tutti uguali, in ogni quartiere di Nanchino.

Categoria: Cina



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