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Inglese vs cinese: una lettera da Shanghai

Inglese vs cinese: una lettera da Shanghai
Softpower, così lo chiamano. Il confronto tra l’Occidente e la Cina si riflette, sul piano linguistico, nel confronto tra le industrie editoriali che tentano di imporre la propria lingua a livello continentale. Ma sarà meglio provare a capirci, noi e i cinesi.

 

Mi scrive Luc Kwanten. Ha letto un mio post su Asia Literary Review, di Hong Kong, in cui introduco il tema che ho definito della ”guerra delle lingue’. Ne ho scritto sul cartaceo di Pagina99we del 28-29 giugno: università anglosassoni, British Institutes in tutta l’Asia, sponsor di vario tipo che spingono fortissima la lingua inglese con festival di letteratura sul continente nei quali gli scrittori di quell’area la fanno da padroni, mentre dall’altro lato il governo cinese dispiega un suo softpower mettendo a disposizione fondi per la diffusione della letteratura in mandarino: e sembra che i due mondi (letterari) non si parlino, non riescano a incontrarsi: anche perchè gli scrittori cinesi quasi si rifutano di imparare l’inglese, e ancora da noi nessuno ha capito l’importanza del cinese come lingua transazionale e transnazionale del futuro. In sostanza: si sta apparecchiando un confronto per stabilire in quale lingua comunicheranno gli universi editoriali e intellettuali del continente asiatico nel prossimo decennio.

Ma al di là della ‘guerra delle lingue’ , questa sordità reciproca ha un suo versante italiano: i nostri social network sono saturati di materiale video che dipinge i cinesi (di casa nostra) come incivili mangiatori di cani e topi, e chissà quant’altro. Insomma: ocio alla sordità, ocio alla voglia di scatenare guerre di civiltà da bar, perchè i cinesi che, appunto, stanno comprandosi i bar di Milano, non sono nè i cinesi delle nostre leggende metropolitane nè, sopratutto, quelli che se ne stanno in Cina: la Cina va guardata con occhi ben aperti, accidenti!

Tornando alla mail di Luc Kwanten: Luc è personaggio mitico. Belga per nascita, sinologo per scelta, fondatore insieme alla moglie Lily Chen della Big Apple Literary Agency di Shanghai che per decenni ha fatto da ponte tra la Cina e l’industria libraria occidentale, introducendone libri per ragazzi, manualistica, libri illustrati, saggistica, e (poca) narrativa.

Ho incontrato Luc e Lily un giorno a Kuala Lumpur, a una fiera del libro. Quando passo da Shanghai vado a trovarli nel grande loft bianco, stipato di tante editor e impiegate affiancate quasi fossero sui banchi di scuola, davanti al computer. Nel centro del loft si alza un soppalco, dove Lily ama intrattenere gli ospiti su un bel divano circondato da piante in vaso, e offre il thè.

Luc ha rituali più europei: su un lato del loft, separato da un tramezzo bianco anch’esso, traforato con un incongruo disegno vagamente indiano, stanno le scrivanie di Luc e Lily: arredi eurpei, design contemporaneo. Due grandi poltrone bianche (Frau, Made in Italy acquistato di recente dai cinesi) dove ci sediamo a chiacchierare. Lily porta uno sgabello, Luc tiene in braccio il bassotto e un bicchiere di whisky (sono le dieci del mattino), io non posso rifiutare un bicchiere di vino rosso. Non voglio raccontare i nostri incontri, qui. Riporto, tradotta, la sua mail recente, commento intelligente, piacevole sorpresa dopo molti mesi che non ci si vede.

 

Caro Andrea

Leggo il tuo blog, lo faccio sempre. Sono cresciuto in Belgio, il più provinciale dei paesi europei, parlando e scrivendo in fiammingo, ma sopratutto in francese. Ora scrivo in inglese e cinese. Mi ci sento a mio agio come ne fossi di madre lingua. Quel che apprezzo del tuo blog è la sincerità di ammetere che arrivando in Cina senza alcuna conoscenza e pratica della linga cinese, si perdono molte cose. Molti cinesi pensano che gli stranieri non capiscano il cinese. Questa convinzione diffusa mi ha dato spesso la libertà di origliare molte conversazioni. Questa libertà mi ha insegnato molto.

Vorrei davvero che i giornalisti occidentali di stanza in Cina conoscessero il cinese. Perchè i loro articoli descrivono sempre un paese che non è quello in cui vivo – sono qui dal 1982 perchè mia moglie non voleva emigrare. Le notizie in TV sono anche peggio perchè rendono l’impressione che tutti vivano costretti dentro a un’armatura d’acciaio. Non è così. I cinesi accettano i loro nuovi imperatori, anche se, al contrario di quel che accadeva un tempo, questi cambiano ogni dieci anni.

La libertà nella scrittura, come sappiamo, non è un punto di forza della scena cinese, ma io noto un cambiamento sotterraneo che sta investendo coloro che sono nati dopo il 1995. La prossima generazione ci darà libri che avranno sicuramente una risonanza internazionale. Per adesso, solo i libri approvati dal governo possono ricevere sussidi di traduzione. Ma con la crescita continua di nuovi editori semi-indipendenti e con il declino della censura, le narrazioni che cerchi appariranno. Sono sicuro che riuscirò a vederle nel corso della mia vita, anche se ho già una certa età.

Io non penso che ci sia una guerra delle lingue, ma in questo mondo che cambia così in fretta trascinato dalla tecnologia, ogni paese si preoccupa della propria identità. Le lingue sono creature viventi. Pensa che ho dovuto iscrivermi a un corso specifico per essere in grado di leggere il francese medioevale, e non è il solo.
Nel tuo blog e altrove vedo finalmente sollevare questioni che da anni penso che noi intellettuali e gli scrittori dovremmo cominciare a affrontare. E’ un buon inizio.

 
All the best,
Luc


Thank you Luc.

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Categoria: Cina



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