In diretta dall'Asia

Moon Festival a Pechino: dolcetti, scherzetti, amicizia e vita di strada

Profuma dei nostri anni sessanta, la Cina oggi. Il popolare (o popolano?) che resiste alla piattezza impiegatizia. La famiglia allargata, in opposizione agli smartphone.

 

Festival di mezzo autunno, ma quest’anno la luna lo anticipa molto, e siamo ben piantati dentro a un’estate tardiva, a Pechino. Una Pechino verde scuro, frondosa, ben irrigata da piogge abbondanti negli ultimi tre mesi, che spara fuori i suoi ultimi 30 gradi o quasi. Poi, al primo giro d’aria fresca da nord, lo chiameranno come sempre l’autunno dorato di Pechino, la stagione dolce e rilassata, ancora tutti per le strade – e qui le strade pullulano di attività: le donne che ballano la sera in ordinati plotoni graziosi, i gesti e le note dell’opera cinese tradizionale, o di quella politica di un tempo che fu, qualche inattesa incursione flamenco, o disco dance locale, e poi gli anziani con il merlo sul braccio: sparano semi da una cerbottana, il merlo sale ad acchiapparlo e torna fedele sul polso del padrone.

Ho visto più di una volta ragazzini esercitarsi al sassofono agli angoli di vie trafficate che sempre però aprono uno spazio di verde dove si può, un giardinetto con degli strani strumenti gialli e blu da esercizio ginnico leggero, tipo un volante da ruotare, una sbarra da spingere avanti indietro per tenere attiva la circolazione sanguigna dei pensionati. E poi, sempre, per strada si gioca: gli scacchi cinesi, o a carte, con gruppi di spettatori a suggerire la mossa, i duellanti assorti sulle sedie di tela pieghevoli.

Devo averla già raccontata da qualche parte, questa storia, agli italiani expat che Pechino la sopportano a stento – loro si lamentano: il traffico, l’inquinamento, il sovraffollamento degli spazi e io a dirgli che le vie laterali sono sempre silenziose, ci si passeggia volentieri, e non importa se nei quartieri esterni al secondo anello tra palazzoni e grattacieli scintillanti, oppure nel centro dove ancora ci sono molte case tradizionali basse e viottoli: ma c’è poco da fare, lo sguardo dell’osservatore modifica la realtà osservata, siamo su due piani di realtà parallela, io e molti italiani expat.

Due anni fa Zhu Wen, ingegnere elettronico, poi poeta, poi scrittore tradotto in occidente, poi regista di film d’autore premiato a Venezia e Berlino, ora – lui mi dice – votato al commerciale (sta preparando un film che proprio non gli piace, ma bisogna lavorare no?) due anni fa Zhu Wen mi accolse con i dolcetti della luna (dentro che c’è? pasta di fagioli rossi, qualche mandorla tritata, penso), che si regalano di questi tempi (ma la produzione è crollata quest’anno, dopo che il governo ha proibito i regali aziendali, sottile metodo di corruzione: questa lotta ai regali tra aziende e tra professionisti e burocrati ha inciso negativamente sul PIL, sembra, quasi di mezzo punto, impressionante). Zhu Wen mi telefonò poi il giorno della festa di mezzo autunno, da casa di suo padre a Nanchino: mi faceva gli auguri perché, diceva, ormai noi siamo fratelli.

Non è piaggeria, fanno sul serio. Un amico cinese che tu cominci a frequentare con continuità ti dirà, prima o poi, con una buona dose di sussiego: ora siamo amici. E gli amici sono come i fratelli.

Certo le cose stan cambiando, certe abitudini di un tempo sfumano, nel tran tran della vita delle grandi metropoli (una sera, a cena da due scrittori, Hong Ying e suo marito Adam Williams, mi si invitò a visitare alle sei di sera una certa stazione del metrò, in quel quartiere a nordovest di Pechino dove hanno sede molte delle società di software, hi tech, le start up dell’innovazione, a guardare quello che i pechinesi chiamano Ant’s People – detto in inglese – i giovani professionisti che tornano a casa, esercito di ceto medio in attesa: sono loro, da poco arrivati dalle città di provincia di tutta la Cina, che tra pochi anni cominceranno la propria ascesa, e si compreranno anche loro il SUV, apriranno i loro studi privati, per essere sostituiti negli uffici da nuovi neolaureati).

Del moon festival due persone più giovani in questi giorni mi hanno detto: oh, sì, è una noia. Devi passare tutto il giorno in famiglia a preparare raviolini e spaghetti di riso, poi ai parenti non sai mai cosa dire, a cena (e quindi i giovani a tavola abbasseranno lo sguardo sugli smartphone).

Ma sta di fatto che la generazione di mezzo, i più stagionati, a questa storia della famiglia allargata ancora ci credono. Invitarti a cena a casa loro è un iniziazione, cominci a far parte della famiglia, anche se poi li vedi che litigano perché marito e moglie non sanno mettersi d’accordo: quest’anno andiamo a trovare i tuoi giù al sud o i miei su nella Mongolia interna? E si finisce per restare a casa, a Pechino. Andar fuori a mangiare al ristorante. Con gli amici. Amici fratelli, magari expat.

Poi ci si siede all’aperto, un bel baretto sotto gli alberi. Si beve un drink, perché nessuno di noi sa giocare a carte, o a dama cinese. Noi non siamo popolo, noi siamo ceto medio, e più in su.

Profuma dei nostri anni sessanta, questa Cina del nuovo millennio.

 

 


Categoria: Cina



Leave a Reply