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Narrativa di genere: il pop di Amir Muhammad in Malesia

Un editore genialoide, capace di riempire uno spazio vuoto: Fixi pubblica in lingua malay il poliziesco, la fantascienza, i vampiri e gli zombie. Giovani autori locali e un successo clamoroso.

 

Incontrare dopo un paio d’anni un vecchio amico che ha macinato altri chilometri di strada è un piacere. Amir Muhammad, documentarista e filmaker noto nel mondo da un paio di decenni: il suo The Last Communist andava a cercare un ex combattente della guerriglia malese, una guerriglia che si era ingrossata nei settanta con l’arrivo di molti semplici democratici, anche da Singapore, perseguitati dalle dittature esplicite e da quelle mascherate, oggi ancorata in profondità nell’inconscio collettivo della Malesia. Una guerriglia a bassa intensità, che però aveva occupato – liberato – una grossa porzione della penisola di Malacca, una grossa macchia nella jungla, come fosse da noi la Repubblica dell’Ossola durante la Resistenza: ma anche qui, come da noi per l’Ossola, i giovanissimi quasi non sanno di che si parli. Eppure The Last Communist è ancora censurato, in Malesia, tema sensibile.

Ecco, Amir si è riciclato in editore, è andato a cercare questi giovani, e li ha trovati: con il romanzo di genere scritto (operazione geniale, che io consiglierei a molti di replicare in altre patrie asiatiche, in altre lingue) in malay. Mi da appuntamento come sempre al Central Market, un edifico vecchiotto, forse anni sessanta, che ospitava un mercato alimentare e ora è riciclato in centro commerciale – vien da dire: a bassa intensità – la bigiotteria per turisti, qualche artista anche vero, le carinerie vegane e spa-oriented, le saponette e il biologico.

Il posto è ben piazzato nel centro città, ci passa la linea principale del metrò, sopraelevata – non è la monorotaia, è un treno normale – ci sono un paio di caffè e spazi in affitto utilizzati spesso per concerti rock blues, fiere editoriali LGBT, feste dell’orto in città: Kuala Lumpur, metropoli avulsa da un paese ancora rurale, è metropoli fiorita in modo tale dentro alla nuova modernità asiatica che già si nutre di quella che noi definivamo un tempo cultura alternativa.

Mi rendo conto ora che di lui so poco: dove sei nato, da che ambiente provieni? Ma quando ci incontriamo parliamo di editoria. E questo suo progetto, Fixi, l’ho seguito passo passo negli ultimi anni. L’hanno premiato alla fiera di Londra: l’editore indipendente più innovativo nel mondo, non poco. Lui è riuscito a costruire una sorta di comunità social: i suoi scrittori – una cinquantina – sono persone comuni, con l’ambizione di scrivere (chi non ha voglia di scrivere al giorno d’oggi, mi dice Amir…). Ha quasi bandito un concorso. Ha rilasciato interviste, ha aperto i suoi social che sono subito entrati in profondità nell’underground metropolitano, ha cominciato a ricevere manoscritti. Ha un panel di lettori (tutta gente che legge gratis o meglio: lui la paga in libri), che sulla base dei primi due capitoli gli dice se val la pena di continuare o meno. La discussione sui manoscritti è parzialmente pubblica: i suoi lettori e i suoi scrittori interagiscono (insomma, ha trasformato il vecchio adagio che dice, ci sono più scrittori che lettori, in un motore formidabile).

Polizieschi, spy-stories, romanzi d’amore, zombie, fantasmi presi anche da una solida tradizione malese di stregonerie varie, guerre, fantascienza. C’era lì un pubblico (e una fabbrica di libri) che aspettava solo di essere raccolto. La comunità si autoalimenta, sono lettori e scrittori che diffondono i volumi di Fixi in tutto il paese, anche nelle città minori. Una festa per gli occhi le scaffalature dedicate a Fixi nei megastore, e le classifiche di vendita settimanali: tra i primi cinque ce ne sono sempre due o tre suoi.

Libri piccoli, leggeri, grafica un po’ cartoon, colore: ridono gli occhi a Amir Muhammad. In Cina dicono che i poeti diventano ricchi perché hanno il senso del business: qui i documentaristi? Ma no, si schernisce, sono solo fortunato. Simpatia devastante come l’energia di questo quarantenne alto, scuro, con gli occhiali, magro quel che basta. Malay, malese Amir Muhammad: quindi sottoposto a una teorica sharia in questo paese multietnico dove per legge si impone l’integralismo coranico solo a una parte della popolazione, quella malay appunto: e non ci riescono, a Kuala Lumpur, non ce la fanno, anche se molte ragazze ancora portano il velo – e magari con il velo le vedi ai concerti LGBT!

Non esisteva, prima di Fixi, una narrativa malese che non tenesse le radici saldamente ancorate all’Islam: magari non solo un islam militante, ma comunque un islam totalizzante, che esondava da ogni pagina, da ogni amore narrato, da ogni famiglia raccontata, persino dalle storie più strane di fantascienza (ricordo che mi sottoposero un romanzo di fantascienza: avevano clonato il Profeta…).

Arriva Amir, ed ecco gli zombie. Addirittura, hanno inventato un genere nuovo: quello legato ai casinò (di Singapore e Macau), le storie di gioco d’azzardo, perdizioni e resurrezioni, cifre da capogiro, un morto in albergo, una valigia scambiata: per noi roba risaputa, ma qui spacca. Siamo – dentro al Central Market appena aperto, la mattina tra qualche addetto alle pulizie, saracinesche che si sollevano – all’Old White Coffee, arredamento da pub, cappuccini preparati con maestria estetica – deludente la resa in fatto di gusto, ma i gusti sono gusti, e Fixi il gusto giusto l’ha azzeccato.

Fuori dal Central Market ecco la capitale piena di ampi spazi verdi, di parti vecchie anni sessanta altamente depressive, di zone nuove scintillanti di architetture, di giovani che cambiano, che finalmente si mischiano – malay, cinesi, bianchi e indiani tamil. Dentro a questa confusione Fixi è perfetta.

 

 


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