In diretta dall'Asia

Non abbiamo fatto brutti sogni, stanotte

Fluxus e i contadini poveri, Sartre e  Pasolini nelle campagne dell’Anhui: funzionerà?

 

Questa mattina l’ho salutata con una domanda: dormito bene stanotte? Risponde in inglese: bene grazie, no nightmares tonight. E immagino sia la formula di rito per salutarsi la mattina, in Cina.

Molte cose le devo immaginare, non ne ho una spiegazione immediata. A Ou Ning non ho avuto il tempo di chiedere come era andata, dal suo punto di vista, la performance dei cinque artisti danesi, sabato, nella Libreria Avant-Garde di Bishan, villaggio di trecento abitanti nella Yianxi County, Provincia dell’Anhui. Cina rurale, campagne in via di progressivo abbandono, Ou Ning che ne difende quantomeno la purezza architettonica, l’estetica dei villaggi dell’antico HuiZhou, le residenze signorili che attirano frotte di turisti – cinesi: i primi soldini risparmiati dal ceto medio si usano così, viaggi, automobili e smartphone.

Legno e pietra, frontoni scolpiti, pareti dipinte, porte intagliate con scene della storia e della mitologia delle dinastie Song, e Ming, con le teste tagliate dalla furia iconoclasta del Rivoluzione Culturale – furia iconoclasta: la tastiera del mio computer batte da sola queste due parole, che nascondono sofferenze reali che i vecchi non hanno più voglia di raccontare, che i giovani conoscono per sentito dire, anche se davanti alla mezza dozzina di fotografie che ricordano i raduni, qui, la mia guida ufficiale scuote la testa con un sospiro: non parla inglese, non riesco a capire, ma immagino voglia dire: roba che non va bene: è stato insegnato nelle scuole, e così archiviato (di Tian an’men invece nulla si sa, insabbiato quel tempo sotto una coltre di censura bianca come la neve: sbianchettata. E di Occupy Hong Kong?).

Ou Ning ha ragione: perché gli scrittori maturi, i cinquanta sessantenni, ancora insistono nel narrare gli orrori di quel periodo? Narrazioni che non spostano di un millimetro il Grande Firewall cinese, le macchine della censura automatica su internet che hanno cercato di obliterare la rivolta di Hong Kong. E’ tempo di osare, questo, per gli artisti e gli intellettuali cinesi.

Ou Ning ha osato (ne ho narrato in un post precedente). Stranamente, il passo falso è proprio questa filiale della famosa Libreria Avant-Garde di Nanchino (foto su www.indirettadallasia.it), in mezzo ai contadini e ai turisti che Ou Ning vuole siano ‘turisti responsabili’, sensibili alle società che attorniano gli splendidi villaggi antichi. A Shanghai, una stramba tesi di dottorato demolisce il suo progetto non a partire dal suo cuore pulsante – Movimento per la Ricostruzione Rurale – ma proprio a partire dalla decisione di aprire un libreria di tal fatta (devo dire: quando i performer danesi mettevano in scena una cervellotica metodologia di recitazione e concerto – noi ci rifacciamo a Fluxus, mi hanno detto – io guardavo le facce brune e incartapecorite dei contadini, più divertiti e stupiti, che incuriositi da quel che si vedevano davanti), dentro a questo bellissimo ex tempio, sconsacrato e in parte distrutto (dalla furia iconoclasta ecc.) e oggi restaurato dal Progetto Bishan, con le sue scaffalature rigonfie, l’area di lettura, il caffè.

Ho commentato, che sì, anche in questo (Fluxus, Ou Ning) la Cina e l’Asia tutta mi paiono attraversare i nostri sessanta e settanta di gran carriera, di pari passo con una industrializzazione che ha svuotato le campagne (oltre l’80% del riso e dei cereali che si mangiano in Cina è coltivato all’estero): ma se da noi interloquire con una classe operaia in via di rapida acculturazione era possibile, qui, con questi contadini, io non lo so.

Di nuovo, mi pare di non avere il tempo per ottenere una risposta esauriente. Dice Ou Ning che si è sollevato un bel polverone, sulla stampa locale e anche nazionale, che questo ha fatto molta pubblicità al Progetto Bishan, ma che sono stati fatti i nomi dei funzionari di governo locale che appoggiavano il progetto (in previsione di copiosi incassi da turismo d’élite). E i funzionari non hanno gradito di essere messi alla berlina: che non so cosa nasconde questa frase, spero davvero che nessun pericolo incomba sulla casa di Ou Ning, sulla giovane moglie che lui ha portato qui insieme al figlioletto di tre anni, reduce da un matrimonio precedente, a cui lui fa da padre amorevole.

Poi siamo saliti sulla montagna con l’ovovia, un’ora di coda, ‘very crowdy’, i sentieri comodi invasi da gruppi con bandierine e megafoni. La montagna – Huangshan, le Montagne Gialle – è bella da lasciare senza fiato (è sempre la tastiera del computer questa, che batte da sola), riproduzione reale delle stampe cinesi di ogni tempo, i picchi aguzzi di roccia grigia, gli abeti con i rami orizzontali, il bosco macchiato di rosso e di giallo: possiamo davvero immaginare che da questa realtà nasca la cifra grafica lieve della Cina, da queste forme incastonate nel mezzo del Paese di Mezzo, in una regione contesa ai tempi della divisione tra dinastia del nord e del sud, dentro alla curva dello Yangtze.

I danesi la sera ci cantano Bob Dylan, due traduttori americani qualcosa che non conosco, Ou Ning intona leggendone il testo dallo smartphone una canzone popolare e io, imbarazzato, credo di fare l’italiano intonando a basso volume O Bella Ciao, e scopro che la conoscono tutti, e la cantano in cinese e in danese.

Chris – mi ha detto di chiamarla così questa giovane ragazza cinese che in libreria mi vendeva i quaderni e ci stampava sopra i tre loghi diversi della Avant-Garde, sotto a una fotografia di Jean Paul Sartre, e più in là tra gli altri c’era pure Pasolini, Chris che ho ritrovato a prepararmi la colazione poi nella guest house costruita dentro alla vecchia fattoria – non ha fatto brutti sogni, stanotte, e neanche noi. La Cina guarda avanti – partendo da dietro. Ci si è messa in scia.

 

 


Categoria: Cina



Leave a Reply