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L’uomo panda, l’Alfa gialla, lo scrittore, l’editore

E’ inverno e ci sono tre personaggi a Chaoyang. Quattro, contando l’Alfa gialla. Cinque, contando anche il panda che…

 

Lo scrittore Zhu Wen, non scrive più da anni: si è trasformato in regista. L’editore Chu Chen, come gli dice Zhu Wen sfottendolo, è bravissimo a scrivere e pubblicare poesia, un po’ meno a fare soldi. Zhao Bandi è artista e performer, ma ha deciso un anno fa di piantarla lì di fare l’uomo panda, però l’Alfa gialla coupé, del 2001, ce l’ha ancora: con un bello squarcio a L ricucito sulla capote, perché, dice, anche in Cina c’è chi ruba.

Mi hanno raccontato di recente un nuovo quartiere costruito sul quinto anello di Pechino, vicino all’aeroporto. Magnifico, mi dicono, tante villette nel verde. Il quartiere è perimetrato da un muro, e sul muro c’è un rotolo di filo spinato elettrificato: perché sì, anche in Cina i ricchi cominciano a far gola ai poveri.

I tre tipi con cui abbiamo pranzato oggi non sono né ricchi né poveri, come tutti coloro che scrivono, girano, dipingono o mettono in scena opere d’arte che non hanno grandissimo rilievo né in patria né all’estero. Quindi non vanno a rubare (anche se li ho trovati vestiti come una banda di randa metropolitani), e non hanno molto da farsi rubare a parte lui, Zhao Bandi: ma l’Alfa gialla (insomma: a me di recente una macchina di tredici anni ha sbiellato in autostrada, lui non so quanto può farla durare questa) non sappiamo cosa celi: che casa, che disponibilità di cassa, che capacità di star dentro nel mercato dell’arte che tanto aveva premiato la Cina, ma che tante carriere ha poi bruciato in un lampo.

Intanto siamo a tavola: Zhu Wen, vecchio amico, mi ha presentato l’uomo panda che tiene il cappello in testa anche a pranzo e parla un buon inglese, Chu Chen con loro parla in cinese, con me e mia moglie in francese (più o meno). Capisco che tra loro han bisogno di concordare qualcosa, la cena serve sia a far circolare me tra gli amici di Zhu Wen (grazie!) sia a suggellare qualche affare differente (Zhao Bandi se ne va con tre ChuChenBooks sotto braccio): ma non riesco a vedere di che si tratti, del resto in Cina, tutti son poeti.

Mangiamo quasi esclusivamente cibi vegetariani: vegetariana è la moglie di Zhu Wen (“lo sono un po’ anch’io,” dice lui, ma Chu Chen mi ha rilevato che di tanto in tanto gli telefona per farsi portare a mangiar carne), però c’è un bel piatto di fegato, a fettine sottile. Si beve vino di riso (huangjou, letteralmente vino giallo), molto leggero, sicuramente meno di dieci gradi, si mette una prugna essicata nel bicchierino come non fosse già abbastanza dolce. E’ la moda dell’ultimo anno il vino, più leggero del baijou (letteralmente vino bianco, o alcool bianco, cioè trasparente) che invece va per i cinquanta, e accompagnava tavolate di uomini che finivano la cena (mi è capitato, giuro!) addormentati con la testa dentro alla scodella dei noodles. Ma forse beviamo huangjou perchè lo si beve caldo: è inverno oggi, gradi zero esatti, vento da nord.

Cosa segnano questi mutamenti dietetici? Credo, l’avvenuta apoteosi della coppia mononucleare, l’affievolirsi della vita di strada, di quartiere, le mogli sempre presenti, a tavola e sul lavoro: cosa comporta il mutamento per questi ex maschi d’assalto? I giovani unisex oramai bevono Heineken dentro a lounge bar pieni di lampadari a goccia, specchi e plastica colorata. Giocano a dadi (la tradizione del gioco non si è persa – bene! – dagli scacchi cinesi giocati per strada sopra a uno scatolone di cartone ribaltato, dal majang giocato per soldi – illegale, questa cosa, ma molto in teoria – nelle sale fumose degli hutong, si passa solo a forme nuove). Non ballano: la pedana al centro è di dimensioni ridotte, piuttosto entra una troupe di ballerini (o sono i camerieri che fanno lo show), e poi parte la musica, indifferenziatamente techno, o reggae, o chissà, e davvero hai l’impressione che siano di più le signore anziane che ballano in file ordinate, con gesti armoniosi e seguendo le note di canzoni tradizionali, anche politiche, lì fuori, a ogni angolo di strada.

Di sicuro non ballerebbero questi tre raffinatissimi randa (non panda) che ho con me. Panda Man era piuttosto famoso, qualche anno fa. Prima i panda li dipinse, poi si mise sulle spalle un peluche e cominciò a girare le città con una telecamera al seguito. Il panda ‘era un simbolo della politica cinese del figlio unico’ (lo scrivevano i galleristi), sicuramente per lui simbolo di identità nazionale. Zhao Bandi, credo di capire, coglieva la lenta deriva consumista della classe media che lo circondava, e provava a contrastarla (celebre una foto, il panda seduto in auto al suo fianco con la cintura obbligatoria, e lui che commentava: è per la sicurezza! con un tono che mostrava evidente insofferenza). Non gli piaceva l’invasione cinematografica da Hollywood, e inscenava strane performance nei cinema dove si proiettava Kung Fu Panda, con il suo panda in stato di agitazione permanente, e, mi dice: “il pubblico partecipava, mi dava ragione, ho avuto qualche problema con la polizia,” e ci credo. I cinesi l’invasione da Hollywood l’hanno respinta producendo in proprio cartoon e comedies uguali in tutto e per tutto, ma naturalmente dense di sdolcinato moralismo, buoni sentimenti a gogò: così educano il loro ceto medio, rettitudine confuciana e una sfilata di film di guerra – contro i giapponesi, contro Chiang Kai Shek, contro le potenze europee a inizio secolo scorso. A me il mix pare esplosivo, Panda Man ha chiuso il periodo panda (mi hanno suggerito che non amasse le derive nazionaliste), ora dipinge. (PS cercate su youtube Panda Man, il film)

Dice Zhao Bandi: ho sempre fatto così: a un certo punto “I quit”, e va per un’altra strada. Come me, dice Zhu Wen (che in passato ha mollato il lavoro di ingegnere, poi la poesia, poi la narrativa, ora è tutto sul cinema). Come me, dice Zhu Wen, anche lui è un fighter.

Fighters, questi artisti di non primissimo piano. Anticorpi necessari, in Cina.

Chu Chen, poeta, editore che non è mica vero non ci sappia fare coi soldi, molto più cool (non nel senso di modaiolo, ma nel senso che sta più tranquillo) ride e sorride da dietro gli occhiali. In francese, ce la giochiamo l’assonanza tra Bandi e bandit. Zhao Bandi ci promette un rinfresco nel suo atelier, al 798, il primo quartiere di fabbriche dismesse che fu convertito in quartiere artistico (ora un po’démodé). Ci sarà il baijou, stavolta? Zhu Wen dice che sono un fighter anch’io, ha letto un mio libro. Siamo tutti un po demodé. Oui, dice Chu Chen, nous sommes tous trop vieux. Si leva un collettivo ruggito di protesta.

(Uno dei tre libri con cui se ne va Panda Men è Camus, tradotto da Chu Chen Books. Alfa gialla, motore Twin Spark 2.000. Vroom Vroom).

 

 


Categoria: Cina



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