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4 giugno, anniversario di Piazza Tian’an Men, da Hong Kong

E’ il 4 di giugno, anniversario del massacro di Piazza Tian’an men, Pechino, 1989.

Sono a Hong Kong, dove #UmbrellaMovement, il movimento pro democrazia che rimase ‘alto’ sui media di tutto il mondo lo scorso autunno, sta preparandosi a far parlare nuovamente di se’. Tra dieci giorni sono previsti numerosi cortei, in attesa della decisione finale del Legislative Council, che respingerà o ratificherà il diktat di Pechino. La Repubblica Popolare Cinese, che secondo gli accordi annetterà definitivamente la ex colonia britannica nel 2046, ha garantito elezioni a suffragio universale fino a quella data. Ma il diktat di un anno fa stabilisce che le elezioni del 2017 vedranno in lizza solo candidati graditi al Partito Comunista Cinese. Ci si batte per la democrazia, qui.

Sono arrivato a Hong Kong portando nei miei taccuini le avvisaglie di una discussione che l’Occidente sta apparecchiando sotto traccia da tempo: la democrazia come la pratichiamo noi è’ ancora un valore incontestabile? Per dirla meglio: il suffragio universale e la libertà di opinione sono il terreno più fertile alla crescita del PIL?

Non cito l’Economist o il Financial Times, mi limito ai media italiani. Sul Corriere di poche settimane fa Roger Abravanel commentava la scomparsa di Lee Kwan Yu, uomo forte di Singapore (incarcerazione dei dissidenti, omicidi su commissione, bavaglio alla stampa indipendente lungo un arco di molti decenni, ora per fortuna lontano). Abravanel scrive: Lee Kwan Yu ha saputo implementare un sistema che faceva lavorare sodo, e bene, gli impiegati statali. Ho visto altri titoli sulla stampa italiana definire la dittatura oligarchica cinese come ‘democrazia del merito’.

E’ agghiacciante.

Per quanto riguarda Hong Kong, #umbrellamovement fu la risposta al diktat di Pechino, con l’occupazione – #OccupyHongKong, ovviamente – di una vitale arteria del congestionato traffico locale, di fronte al palazzo del governo. Migliaia di studenti e di persone comuni piazzarono le loro tende sulle tre carreggiate della highway, e non si mossero di lì per 79 giorni.

Non è nello spazio di un post che si può dar conto della complessità di quel movimento, che sto cercando di studiare da vicino. Mi colpiscono, nei racconti degli amici hongkonghesi, due parole.

Emozione: così viene giustificata la reazione della evidente maggioranza degli abitanti in difesa degli occupanti, quando questi furono aggrediti dalla polizia con uso di lacrimogeni (tutti sanno che vennero sparati 87 candelotti in una sola notte), e spray al peperoncino da cui i manifestanti si difendevano aprendo i loro ombrelli.

Libertà di pensiero: e non solo di espressione. Mi ha detto una giovane laureanda: non vogliamo solo poter scrivere e postare sui social network quello che ci pare, volgiamo sentirci la mente sgombra dalle interferenze del potere, della propaganda. Vogliamo pensare.

La democrazia è qui intesa dunque come l’ambiente dove l’individuo si apre al mondo, vive la sua esistenza con pienezza, ed è in grado di compiere in autonomia le scelte fondamentali della propria vita. PIL o non PIL.

La Cina è oggi il paese più capitalista del mondo. E’ l’ambiente sociale dove prosperano le multinazionali di tutto il mondo, che lì hanno delocalizzato le loro fabbriche, dove lavorano sostanzialmente al di fuori da ogni regolamentazione milioni di giovani immigrati dalle campagne, portati a vivere nei giganteschi dormitori che le circondano.

Sono famosi i palazzi della Foxconn, dove si fabbricano i nostri IPad. Il tasso di suicidi era così alto che vennero installate delle reti all’altezza del primo piano, per impedire ai ragazzi più infelici di buttarsi dal tetto.

Governata da leader di partito autoselezionatisi grazie alla capacità di tessere relazioni, di fare lobby, di inventare campagne per screditare gli avversari, e mai eletti dal loro popolo, la Cina continua a definirsi comunista. Cresce. Si sviluppa e rende più ricchi i propri cittadini, li sradica da condizioni di miseria rurale e li getta nella giungla urbana: nel mercato del lavoro.

A HongKong #UmbrellaMovement dice che l’economia non è tutto. Che la democrazia che porta con sé la libertà di oensiero – e forse la libertà di emozione – è una conquista di per sé. Vale la pena di tenersela stretta, PIL o non PIL.

E a Pechino qualcuno ricorda che i carri armati di Piazza Tian’an men non riaffermarono il comunismo e l’eguaglianza: aprirono la strada al capitalismo oligarchico dell’oggi. Alla dittatura politica che protegge un mercato governato da pochi.

A Hong Kong questa sera alle otto, è convocata come ogni anno una fiaccolata a Victoria Park. Ci andrò anch’io, pensando non solo alla Cina e a Hong Kong, ma all’Italia e all’Europa.


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