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Digressioni malesi attorno a un libro che non c’è / 2

Dopo cinque ore di autostrada sulla macchina di Hoe Fang, Kuala Lumpur compare improvvisa nella sua miscela di bellezza e degrado tristanzuolo. Le Petronas Towers, grattacieli gemelli a pianta ottagonale, copie moderniste e quasi art deco di enormi minareti scintillanti di luce, un po’ missili puntati contro il cielo di chiunque, un po’ campanili da cattedrale gotica. Vedendole da lontano, la notte, ho pensato a Chartres.

A KL le forme contemporanee si fronteggiano affollate, ma il suo centro è disseminato di aree verdi lussureggianti e palazzotti in stile tradizionale malese. Ville, templi, rare architetture coloniali, e, usciti dalle immancabili highway che la abbracciano e attraversano, c’è a volte un’impressione di spazio.

Lo spazio è poi brutalmente compresso dagli informi e ormai cadenti edifici anni sessanta e settanta dei quartieri più vecchi. Qui la luce è grigia, la pioggia blocca il traffico ogni sera: molto degrado qui, tanto pattume. Certo non terzo mondo che fu, ma una tristezza li pervade, mitigata da improvvisi squarci di forme interessanti, futuribili. La monorotaia, E un metrò che per lunghi tratti percorre la città su alti piloni, stralciato da ogni residuo di terzo mondo.

La piccola fiera del libro cui partecipava la Ethos Books di Fong Hoe Fang si chiama Seksuality Merdeka, dove merdeka sta per libertà, indipendenza.

La letteratura rivela molto della Malesia metropolitana. Il ministero degli iInterni si era trovato pochi mesi prima alle prese con un dilemma: cosa fare di Body2Body, antologia di storie omosessuali edita da un editore locale (Amir Muhammad, documentarista di livello internazionale ora riconvertito all’editoria)? Come sempre, dietro all’ostentazione integralista malese ci sono appetiti e clientele del politico di turno a caccia di voti. Le reazioni sono dunque dissociate: nel caso di Body2Body il compromesso fu inviare decine di agenti in borghese dentro alle librerie del paese: comprarono tutte le copie disponibili. Gran successo editoriale dunque, buoni incassi.

Seksuality Merdeka quell’anno non era censurata (capita che lo sia, negli anni di luna storta dei partiti al governo), e quindi l’editore singaporeano poteva presentare qui un libro che non trovava distribuzione in libreria, ma al banchetto sì: e andaron via più di cento copie in due giorni.

In qualche modo Singapore e KL sono metropoli sorelle: personalità diverse, conflitti, ma origini comuni, un’attrazione reciproca insopprimibile. La Malesia è anche paradiso fiscale, zona franca per petrodollari in libera uscita abilmente mescolata a dollari USA freschi di stampo. C’è da divertirsi in questo paese: corpo a corpo.

Mi avevano avvertito: più che questa fiera, come usa dire, di nicchia, saranno interessanti a KL le serate di musica blues, rock, jazz. E, certo, qui la percentuale di pubblico omosessuale è innaturalmente alta, come se questa stesse fosse la cifra dell’underground metropolitano malese.

Ma io a KL io non stavo cercando dissidentii, nè poeti omosessuali. A KL dovevo vedere Brian Gomez, bluesman giallista di origine indiana, di cui avevo pubblicato un primo libro, Malesia Blues. Mi aveva promesso il sequel.

L’ultimo recente contatto con Brian, via WhatsApp: io, a Pechino, in fervente attesa della prima stesura di quel secondo libro, di cui Metropoli d’Asia ha i diritti mondiali. Malesia Blues è stato il nostro piccolo cult in Italia, e il sequel mi incuriosisce: ogni volta che ci incontriamo Brian me ne racconta entusiasta la trama, quasi invasato dietro alla sua storia, e pronto già a delineare il terzo capitolo della saga, magari il quarto.

Nel secondo episodio in fieri, accade che dentro a una vicenda lunga quarant’anni, uno dei suoi personaggi vada a nascondersi nella giungla malese, tra le fila della guerriglia. Anni settanta ottanta, presumo. In un tempo differente, l’oggi, una produzione televisiva ambienterà in quei luoghi un reality show. Da queste parti ce l’hanno tutti sulle spalle, la foresta e la guerriglia comunista di un tempo lontano.

Ma un amico di Brian, leggendo le prime pagine, gli ha detto chiaro: la tua giungla non è credibile. Già: non può essere un’invenzione alla Salgari, il libro va venduto anche in Malesia.

Brian Gomez ci si butta dentro. Va a vedersi la giungla da vicino. Ci scambiamo messaggi mentre passeggio tra le terrazze del Tai Koo Li a Pechino, una successione di cubi colorati a uso e consumo delle griffe della moda e dell’elettronica, con la sua piazza a schermo gigante multicolore, e ristoranti vegetariani, italiani, spagnoli, beefsteak americana e però poi tutte le cucine regionali del Regno di Mezzo: Sichuan, Henan, Hunan, Yunnan, Taiwan e Hong Kong con i suoi Dim Sum.

Leggo seduto qui le battute surreali di Brian, tigri e serpenti. Sta per arrivare alle casermette dell’esercito che lo ospiteranno una settimana. Lì capirà come è fatta la giungla malese. Scrive che il cellulare perderà campo, che non c’è wifi. Ritroverò il mio scrittore bluesman vivo e vegeto al ritorno, con il secondo libro pronto?

 

CONTINUA

 


Categoria: Malesia



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