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Digressioni malesi attorno a un libro che non c’è / 6

Negli anni Brian si è anche trasformato nel corpo. Lo avevo conosciuto come un ragazzo piuttosto grosso: è alto, mi pareva il fisico del ruolo da bluesman al bar, con tanta birra in corpo e la tela di jeans dappertutto. Adesso, forse tre anni dopo il nostro primo incontro, è magro, asciutto, quasi bello con un paio di baffi appena accennati. Baffi tamil, India del sud, questi sì, laggiù simbolo irrinunciabile di mascolinità. In ogni caso ora è un uomo. Quando chiedo come abbia fatto, quali gli ingredienti della dieta miracolosa, mi risponde che non lo sa. I casi sono due: o la tensione di una sua vita indefinita lo mangia vivo, oppure ha semplicemente smesso di bere. In questi due giorni con me non ha toccato neanche un goccio di birra.

La tensione. Ragazzo di trentasette anni con l’energia di un Bruce Springsteen e un’istrionicità da animale da palco, e poi, invece, giù dal palco l’altro Brian, molto misurato con chi lo saluta qua al Doppel Cafè, quasi ombroso. Con me, ancora di più. Per il secondo libro gli ho voluto versare un anticipo, e questo lo mette in ansia. Non faccio che ripetergli: prenditi il tuo tempo, non ho fretta che tu consegni il Malesia Blues parte seconda. Per lui la scrittura è istinto, come il blues- Non è un fine letterato, ma l’immaginazione, l’inventiva, la fantasia esuberante che mette nei suoi giochi grotteschi, e la verità semplice che sa raccontare sulla Malesia interetnica dei cento poteri va incoraggiata. Che si conceda tempo, non può timbrare il cartellino.

Il libro – Devil’s Place in inglese –  ne ha fatto un piccolo idolo pop a KL. Giusta la scelta di pubblicarsi da solo, senza intermediari. Ha venduto molto e guadagnato sei volte di più che se avesse pubblicato con un editore. Ora, Brian è in cerca di una posizione comoda dove sedersi a scirvere il secondo libro. Un lavoro sicuro, magari non pagato granchè. Che basti a metter giù la rata del mutuo, poi Melani farà la spesa con il suo stipendio da giornalista radiofonica.

Brian ha lavorato per anni come copy in pubblicità, ma quella scrittura lo distrae: vorrebbe allora un lavoro diverso, di routine ma part time, così da avere la testa sgombra e scrivere. Mi racconta la trama del secondo libro, accenna a quella del terzo. Poi mi spiega la struttura di un quarto ancor più complesso nell’intertestualità.

Un altro incontro. E’ sereno, rassicurato, la sera prima mi ha portato a cena e io di nuovo gli ho detto: take your time. Mi ha mostrato il posto dove lui e Melani vogliono aprire un bar libreria, con palco per i concerti.

E’ un locale più grande di quel che potessi immaginare e che lui sta ristrutturando con le mani. Mi dice che dopo il lavoro fisico torna a casa, dieci minuti a piedi, quartiere residenziale middle class, e scrive. Io spero possa inventarsi un’impresa redditizia e non un mal di testa continuo. Ma che devo fare: comprargliene tre, di libri? E come può un anticipo bastare a mantenerlo?

Gli racconto di Simenon che scrisse più di duecento libri in una vita e fa parte di quella vasta schiera di scrittori che all’inizio han patito la fame, facevan vita da bohemien, non quella finta, quella in cui si soffre. La sua obiezione è inappuntabile: non c’è più uno spazio per una vita siffatta nel nostro mondo middle class, sia esso Italia o Malesia. Troppa è la pressione d’ambiente. Chi sei? Cosa fai? Il riconoscimento deve essere immediato e se non viene sei all’inferno (non perché c’è un dio: ma c’è un superio collettivo, che impera). Non esiste una comunità intellettuale e artistica a coccolare i tuoi faticosi e lenti esordi, perché oramai anche gli artisti devono avere successo, vanno in tv come le popstar. Non se ne restano lontani dalle luci della ribalta, tranquilli, a scrivere. Sereni.

Sono d’accordo con te, dico. E mi pare che questo lo acquieti.

La sera quando ci rivediamo al Doppel è rilassato. Mi piace questo suo modo di essere. Non posso fare molto per aiutarlo a restare così.

Trovare tempo e modo per scrivere il sequel di Malesia Blues non è facile. Se lui è quel tipo di scrittore che ha bisogno di non essere disturbato da intrusioni esterne, impegni mentali alternativi, distrazioni alla sua fantasia, figuriamoci ora in questa condizione di precarietà. “Il primo libro, quando facevo il copy in pubblicità, l’ho scritto andando via: un amico aveva un piccolo albergo a Langkawi,” spettacolosa isola tropicale al confine con la Tailandia. “Poi a Phuket. Finiti i soldi ho pensato di andare da mia madre a Melbourne.”

Andare via, per riuscire a scrivere.

La mamma si era risposata in Australia qualche anno dopo la morte del papà di Brian, l’evento che innesca una diaspora familiare dalla nativa Johor Bahru, trafficata cittadina malese che un ponte sul canale separa da Singapore. La sorella va a stabilirsi sull’isola fortezza aprendosi una carriera da cantante jazz, lui dirige su KL. E’ lì che sceglie la scrittura: cominciando come giornalista, la professione del padre: “Lui era il mio eroe,” mi ha detto Brian con candore.

Mi ha raccontato (e di nuovo siamo nella hall dell’Hilton, ma lui ha voglia di parlar di sé e dimentica il contesto: si trasfigura come fosse sul palco, con la chitarra) la storia di un uomo che, cominciando come semplice giornalista sportivo, era poi diventato allenatore della nazionale giovanile di cricket. Strana Malesia: è divisa in sultanati che ancora hanno qualche funzione residua, e il figlio di un sultano giocava in nazionale. Male, giocava. Non si presentava agli allenamenti, si sentiva di un’altra pasta, quello lì. Il padre di Brian lo butta fuori squadra, non lo porta ai campionati asiatici. Lo attaccano, parole sui giornali e minacce pesanti in privato, l’offesa è insopportabile. Lui resiste, fermo nella sua decisione. E’ costretto a presentarsi al palazzo del Sultano. Crede di andare semplicemente a rapporto, ma viene brutalmente picchiato. Subisce una lesione permanente. E, naturalmente, viene esonerato dall’incarico. Espulso dalla federazione. Condurrà una lunga battaglia legale, la vincerà, tornerà a allenare squadre minori.

Brian aveva undici anni, e ricorda come si era stretto attorno al padre insieme alla sorella, alla quale rimane legato proprio nel ricordo di quell’umiliazione, di quel pestaggio. Di quell’arroganza altrui vissuta sul proprio corpo.

 

CONTINUA


Categoria: Malesia



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