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Digressioni malesi attorno a un libro che non c’è / 8

Dunque gli Have-Nots. Allora siamo un sabato sera al ChillOut, un grosso bar all’aperto sulla terrazza di uno shopping mall. Subang Parade, che fa da centro di gravità per Petaling Jaya, il sobborgo residenziale da classe media a un bel venti chilometri dal centro di Kuala Lumpur.

KL, come molte di queste metropoli nuove di zecca – o rinnovate dal vetro, dall’acciaio e dal cemento armato – si estende su perimetri inimmaginabili: ma qui davvero si sfiorano le utopie urbanistiche di un secolo fa, Francis Lloyd Wirght, per non parlare della famigerata Chandigarh di Le Corbusier, in India, che al contrario vista ora appare il simbolo di una intelligenza e pianificazione incapace di prevedere una presenza umana, inadatta a confrontarsi con la vulnerabilità, la volubilità, la casualità e la molteplicità delle relazioni tra le persone, che invece si pretendevano ingabbiate dentro a viali di scorrimento perfetti e spazi di cui si predeterminava la personalità: il contrario del modo in cui poi la casualità dello sviluppo economico ed edilizio prorompente – l’anarchia più che un progetto, una pianificazione – costruisce una serialità casa/ufficio/centro commerciale che è la cifra della metropoli asiatica contemporanea. Città dalla personalità e dall’anima predeterminate: e non da un Centro Orwelliano, ma da un complesso di relazioni umane alienate. Non possiamo stupirci se l’anima di queste metropoli è artificialmente costruita dalle narrazioni dei copy della pubblicità. Giusto Brian?

Al ChillOut, dunque. Bassista cinese, seconda voce e chitarra solista malay, batterista bianco, il nostro leader è di origine indiana. Suonano evergreen del pop anni settanta occidentale per scaldare il pubblico. E poi un sacco di roba sua, composta da lui, Brian Gomez. Riarrangiata e rivissuta da lui, a metà strada tra il rock, il blues e le sonorità del pop malay. “Veeery interesting,” mi aveva preannunciato.

Il pubblico, che è un pubblico qualunque del sabato sera, non si scalda granché: la predilezione di Brian per gli anni settanta occidentali non è sempre ricambiata. Questi ragazzi non erano ancora nati, allora. I punti caldi di KL vedono girare i DJ internazionali. Elettropop, in Malesia come a Pechino come a Singapore. Ci si scalda per gli inossidabili Rolling Stones, professionisti del riciclaggio che non si estinguono mai, però se Brian attacca un Bob Dylan o perfino un Jimi Hendrix, qui si torna a girar la testa, a ordinare altri hamburger, altra birra. Non ascoltano.

Sono seduto a un tavolo con Melani, ci sono suo padre e sua madre per questa che appare come una grande occasione d’esordio. Il padre di Melani, in effetti, conosce meglio della figlia la musica un po’ datata di Brian. Cortocircuito interessante, ci parlo per pochi minuti, ma loro sono già stanchi, vanno a casa. Allora mi sposto dalla parte opposta della sala – esattamente dalla parte opposta – dove appoggiati a un bancone una manciata di cugini di Brian, più chiacchieroni e caciaroni, bevono bene. Simpatici, però mi dicono sinceri: siamo qui per lui, noi questa musica non la conosciamo. Loro ascoltano solo la musica di Bollywood.

Un anno dopo, Brian confesserà: ha fatto un disco, vende benino, sì, ma il gruppo si è sciolto per mancanza di ingaggi. Non è questo che cercano i locali mainstream di KL. Musicalmente, Brian Gomez resta un ‘underdog’. Il termine, da scuola d’azienda, è venuto fuori in un altro contesto, mentre mi spiegava la difficoltà recente a riposizionarsi con un lavoro perchè la produzione di video pubblicitari ha modificato completamente le sue modalità operative. Un ragazzino da solo al computer fa lo stesso lavoro di una intera troupe compresa di copy. I prezzi scendono, quel che prima facevi per 15.000 Ringit, ora si fa per 2 o 3.000. Insostenibile.

E’ lì che Brian mi dice: certo, Melani lavora e l’affitto è pagato, si potrebbe scegliere di vivere con poco, e io me ne sbatto e sto a casa a scrivere. Ma come ci guarderebbero gli amici, le famiglie?

Il solito ritornello: “Non sono più i tempi alla Orwell. Down and Out in Paris and London, far la fame e scrivere.” E, del resto, successo per Brian lo scrittore, oltre i confini malesi, ancora non ce n’è. Di fama non remunerata si può sopravvivere, anche a Kuala Lumpur: di scrittura e delusione, no.

Inarrestabile la sua fantasia come la sua scrittura. Archiviato il progetto degli Have-Nots, Brian continua a cercare: come costruirsi un lavoro che lo sfami, ma poi gli lasci quelle quattro ore al giorno per mettersi davanti al computer e scrivere il suo secondo, il terzo, e il quarto libro?

Belli, i suoi progetti, eppure ogni tanto mi sembra voglia infliggersi una punizione. Brian si è inventato Merdekarya. Un caffè libreria, un bar con palco per musica dal vivo, una specie di piccolo centro sociale aperto a tutte le associazioni della società civile malese: nel programma ho visto Amnesty International, e teatro undergound.

Affitta una palazzina in un quartiere non lontanissimo dal centro, abbastanza frequentato. La ristruttura con le proprie mani e con quelle degli amici. La fa ridipingere ai graffitari, si fa regalare libri dalle piccole case editrici. Convince Melani al grande salto: lascia il lavoro in radio. Puntano tutto, insieme, su Merdekarya.

Ho visitato il posto in un giorno feriale. Il pubblico era quello convocato da un gruppo ambientalista, qualche birra viene consumata, pochi pasti cucinati dallo stesso Brian. Altri amici in città mi dicono che il locale funziona, nei weekend. Brian e Melani mi raccontano chiaramente la fatica. I risultati per ora non sono all’altezza. Ma miglioreranno.

Brian, riesci a scrivere? Sì, mi disse quel giorno, la mattina sono libero. Il secondo libro è partito. Sono contento.

Ma noi lo sappiamo, il secondo libro non c’è. Non è arrivato, non c’è mai stato. Dubito che ci sarà, perlomeno nei prossimi anni. Forse quando Brian invecchierà, si sentirà più libero. Avrà qualche soldo da parte. Ora il Merdekarya, pur lanciato e alla moda nel mondo underground di Kuala Lumpur, dà molti mali di capo e molto lavoro. L’ultima volta a KL Melani mi ha detto: “Brian deve occuparsi del locale, non ha tempo per scrivere.” E so che dispiace anche a lei.

Me ne spedì un centinaio di pagine. Diceva che era un terzo del libro. Poi mi scrisse che era andato avanti, ma non voleva farmelo vedere. Ci fu la jungla. Mi scrisse, improvvisamente, che non se la sentiva più, mi chiedeva l’IBAN per restituirmi l’anticipo. Io dissi: eddài. Non te ne preoccupare. Ti fermi e vai avanti se vuoi. Dopo. Tieniti l’anticipo, non ci si forza a scrivere. Aspetta.

Brian non sei l’unico, gli scrissi, a impallarsi su un libro. Vedrai che dopo arriva. Dopo.

Bye bye.


Categoria: Malesia



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