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Vite contraffatte (ultima parte)

He Yi manifesta una vera e propria dipendenza per il monologo: ma ci sa fare. Almeno a parole: il risultato sulla pagina non è all’altezza, ahimè. L’uomo affabula, tiene desta la mia attenzione con frequenti cambi di registro e flashback/flashforward, e ottiene il risultato di giustapporre utilmente momenti distanti tra di loro ma tra di loro connessi.

La seconda metà degli anni ottanta: è il periodo più libero che la Cina abbia mai sperimentato – mi dice – fino al recente avvento della rete, un’onda tale che neppure i supercomputer del governo, con i loro tag detectors e la cancellazione automatica dei messaggi sgraditi, riesce a arrestare.

In quegli anni ’80 si rovescia sulla Cina un’ondata di traduzioni dall’estero, dall’Europa soprattutto: narrativa, saggistica, filosofia, politica. Si traduce gratis perché agli editori cinesi non viene neanche in mente di comprare i diritti. Sono duecento anni d’Europa  riversati d’un botto sulla generazione più giovane: la sua, quella degli universitari d’allora.

Anche He Yi, a Nanchino alla facoltà di lettere, incrocia la redazione di Tamen: la rivista di Zhu Wen e Han Dong. Comincia a collaborare. Di sola poesia si tratta, qualche raro racconto breve: ma non c’è più una linea di demarcazione netta con la censura ora. Si sta sul filo del rasoio e si pubblica tutto. Soprattutto si parla, si discute. In camerata la luce chiude centralmente alle 11. Loro attivano una derivazione: la rubano, l’elettricità! Me lo dice, He Yi, come fosse un reato gravissimo: il vulnus, la rottura del vincolo di lealtà con il Popolo sovrano. Eccitato, solo al ricordo della trasgressione, dell’atto di libertà. Ma ci tiene a precisare: non c’era disvalore, in quell’atto. Loro restavano fondamentalmente degli idealisti. E parlavano, e discutevano. Perché questo idealismo, dice He Yi, veniva da lontano: gli era stato inculcato fin da bambini.

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Ecco dunque il flashback, il racconto di formazione: “Gli anni settanta, anni di Rivoluzione Culturale nelle città, erano anni di mobilitazione anche nelle campagne: io vengo da un villaggio”. Famiglie poverissime, e la frase che sceglie per dirlo è: si mangiava carne una volta l’anno.

Ma a loro è stato insegnato che quella è la miglior vita possibile al mondo, che quello è il comunismo che rende felici gli uomini: per i bambini a scuola la politica è materia di studio, la più importante.

He Yi, bambino, apprende: “Ci raccontavano della miseria nella quale venivano lasciati i lavoratori e i contadini nei paesi capitalisti. Pensavamo che a noi sarebbe toccato di liberare il mondo, che di lì a poco sarebbe scoppiata la Terza Guerra Mondiale”.

A scuola è bravo, è sempre il primo della classe in ogni materia e quindi anche in politica: “Ero il numero uno.” Aveva un’ottima memoria, si schernisce, tutto qua: e sapeva ripetere, virtù fondante. “E’ così che siamo venuti su: idealisti, sempre e comunque”. Idealisti: è questo un termine che significa molto, per He Yi, gli sta incastrato dentro come una spina che vorrebbe a tutti i costi espellere. O che forse ritiene di aver espulso in seguito, e me ne vuole dare una ragione.

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La Rivoluzione Culturale si spegne, nei primi anni ottanta si impone Deng Xiaoping: E’ giunto il tempo di criticarne “gli eccessi”, si riabilitano le vittime, si onorano i morti, si getta calce viva sulla verità.

Però, chiuso il passato dentro a una cassaforte, la parola ‘eccessi’ come chiavistello, ecco che si apre alla discussione, al libero scambio delle idee sul futuro: “Ma noi eravamo ancora idealisti. A Nanchino c’erano continui cortei, manifestazioni pubbliche.”

Di fronte al vento nuovo, di libertà, che soffiava nel paese, He Yi si sentiva ancora un combattente: “Un uomo di convinzioni”. Che stavano cambiando, ma convinzioni restano: commitment è la parola chiave nel suo inglese. E lo dice con rammarico: perché quel che intenderà rivelarmi è che la sua esistenza era falsa, inautentica.

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“Voglio farti un esempio, qualcosa che ricorderò per sempre. Nell’89, ancora in Aprile, muore un leader di partito – persona ormai ai margini, considerato un precursore delle rivolte studentesche e operaie – decidiamo di commemorare l’evento con una manifestazione”.

Di quel giorno lui ricorda bene un amico, e ne fa il nome: non per delazione, ma come una rabbiosa denuncia di falsità (fake), e tradimento degli ideali. Li Lu, l’amico che in tutti quegli anni non si è interessato a queste cose, anche quel giorno se ne resta seduto sul marciapiede, e osserva annoiato sfilare il corteo. He Yi ce l’ha ancora davanti agli occhi. Si ricorda di averlo invitato a manifestare con loro, e la sua risposta era stata enigmatica: a me interessa solo osservare.

“Non era passato neanche un mese, e Li Lu aveva capito da che parte soffiava il vento: ho saputo che era a Tian’an men, che si era sposato lì perché i leader della piazza in quei giorni celebravano matrimoni.” Insomma: Li Lu è nel posto giusto.

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Il 4 di giugno è il giorno delle pallottole: la carneficina, gli arresti, le sparizioni. Ma Li Lu è scappato prima, è già a Hong Kong, e da lì passa negli Stati Uniti. “Me lo ricordo in televisione: ricercato!” Li Lu, accolto come un dissidente di spicco, entrerà alla Columbia University e comincerà una carriera sfolgorante, andando poi a lavorare con Warren Buffett e divenendone un collaboratore stretto: Buffett, nel 2010, lo indica come un suo possibile successore.

Insomma questo mi dice He Yi: che quando vennero in Cina Buffett e Gates, per dare il via a un’ondata di investimenti, fu proprio Li Lu ad accompagnarli, riabilitato dal governo con il massimo degli onori.

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Caro He Yi, le donne ti lasciano, gli ideali appassiscono: ma lui il suo Fake Lives lo scrisse già a metà degli anni novanta. Da tempo i carri armati di Piazza Tian’an men avevano spianato la strada al mercato, al liberismo: “Ora siamo realisti”, afferma He Yi, “siamo cambiati. Non ci occupiamo più di idee, pensiamo solo a far soldi. E la pretesa di poter cambiare il mondo ora ci sembra arrogante, stupida”. Erano troppo giovani. “Abbiamo il dovere di ammetterlo, che questa Cina è migliore di quella del passato, che si vive meglio.” Mi spiega che scriverà per la televisione, He Yi: storie sulla falsariga del suo Fake Lives. E guadagnerà bene, non c’è dubbio.

Vorrei contestare le sue parole, innalzare un argine alla delusione e al cinismo. Ma c’è un’altra cosa che mi colpisce. Anche con lui il gioco di prestigio è riuscito: abbiamo saltato un’altra volta il passaggio fondamentale. Come è accaduto con molti, ai quali ho hiesto di raccontarmi il 4 giugno.

Siamo già al giudizio a posteriori, l’autocritica, le recriminazioni e le scelte. Ma l’89, appunto? Quel 4 di giugno? Tu, dov’eri, quel giorno?

Il 4 di giugno chiude tutto, a Nanchino. Ci sono i carri armati per le strade, i negozi hanno le serrande abbassate. He Yi deve discutere la laurea in luglio. Passa a pieni voti, il futuro segnato è a Pechino, nella redazione di una prestigiosa testata giornalistica, dedicata allo sport. Ma anche Pechino è percorsa dai carri armati, tutto è più difficile in quei mesi. Per lui decide lo Stato, lo rimandano al suo villaggio, diventa un semplice insegnante di scuola superiore.

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E fu la sua fortuna, dice: perché è da lì che poi può compiere il grande salto, entrare alla Beijing University due anni dopo, cominciare una vita che gli dev’essere molto piaciuta. Di nuovo sta scivolando in avanti a velocità stratosferica: fermati He Yi. Il 4 giugno: dov’eri, cosa facevi, cosa hai visto?

“Ascoltavamo la BBC, Voice of America. Me lo ricordo, il 5 di giugno a Nanchino. E dopo un paio di giorni abbiamo saputo che un nostro amico era stato arrestato, processato. Quindici anni di prigione! Avevamo paura.” E lo si può immaginare, il gruppo si scioglie, ciascuno per conto suo, incontri sporadici, conversazioni a voce bassa. Si ritroveranno solo molti mesi dopo.

“Il mio amico l’ho incontrato, di recente. Mi ha detto che i carcerati lo trattavano con rispetto, è una cosa che mi ha fatto piacere. E dopo, al villaggio, non sapevo più niente, eravamo lontani, tagliati fuori. Quando sono arrivato a Pechino ormai era un altro mondo.”

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Fake Lives: “Critico me stesso, lo so. Non credo alla propaganda, non credo a questo regime: però vivo qui e mi adatto. Gli artisti, i dissidenti? E’ facile fare l’artista. Liu Xiao Bo scriveva, non è un artista ed è agli arresti.”

Eccolo, Fake Lives, lo tira fuori dalla borsa. La casa editrice è di Nanchino, legata alla loro rivista, Tamen. La grafica di copertina l’aveva disegnata un ragazzo più giovane di loro, uno brillante: Ou Ning. Dice He Yi: “Ou Ning è bravo, fa bene a portare avanti la sua critica, con circospezione, con attenzione, un discorso culturale”.

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Non so perché, finiamo per parlare allora del Nobel a Mo Yan. Tu che ne pensi? La risposta di He Yi è secca: il Nobel confonde i giovani scrittori. Gli abbiamo consigliato per anni di essere indipendenti, di restare fuori dai circuiti ufficiali. A tutti quelli che si sono rifiutati di partecipare alle pastette di regime, adesso cosa diciamo: che siamo contenti del premio a Mo Yan?

Un po’ di irrefrenabile idealismo alberga ancora dentro a quest’uomo che va per i cinquanta e spera di far fortuna in TV. Me ne dice una buona sulla passione di molti scrittori cinesi per Garcia Marquez.

Mo Yan lo ha più volte citato come suo maestro, e sulla sua falsariga muove i suoi romanzi, esaltando la forza espressiva del realismo magico. Dice He Yi: “Sai, erano gli anni ottanta, tra tanti romanzi europei e americani, ecco improvvisamente un autore del Terzo Mondo, uno come noi, che ha avuto successo in Europa, in America. Abbiamo pensato, forse è così che dobbiamo scrivere noi, nel Terzo Mondo. E’ diventato, sai quella parola che si usa in televisione? Un format.”


Categoria: Asia



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