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I ventidue anni di Zhou Kai

Zhou Kai, al centro, a colloquio con Ou Ning

Zhou Kai, al centro, a colloquio con Ou Ning

Era stato Ou Ning a dirmi: sono orgoglioso di averlo scoperto. Il giovanissimo Zhou Kai, 22 anni ma ne dimostra molti di più: e scrive, finalmente: lavora sulla lingua, tesse una tela che va il da là del plot, della sua trama (c’è un ordito, possiam dire?). C’è scrittura.

Le mail di Zhou Kai sono in inglese (suo? di un interprete? google translator?) e dopo qualche esitazione (io non mi muovo da Pechino per un po’) si offre di venire qui lui, ha amici da incontrare, forse un editore, riviste.

Giunge allora all’inossidabile caffè letterario Bookworm ben spalleggiato: un’amica che parla inglese (lui, scopro, non lo parla o non lo vuole parlare) e una editor che prenderà furiosamente appunti della nostra chiacchierata: con il mio interprete italiano siamo in cinque intorno al tavolino.

Affabile a dispetto dell’età, sorridente, intimidito solo un po’: perché – mi pare – molto cosciente di sé: non ci sono esitazioni nelle sue risposte, sa quello che vuole dalla sua scrittura e non ha problemi a rivelarlo. Conosce il suo posto nel mondo, insomma, e lo occupa con semplicità (ne abbiamo ventiduenni così, in Italia?). Solo, un particolare secondario del suo aspetto resta avulso dalla nostra chiacchierata: io ci metterò qualche minuto a accorgermene, mentre mi sciorina la trama del suo primo racconto (ne ha scritti finora cinque o sei, e gli ultimi iniziano quello che sarà un volume unico, legati tra di loro).

Narra un omicidio: in modo un po’ surreale veniamo a sapere di un contadino che ha ucciso, forse per caso forse intenzionalmente, un amico con un colpo di pistola, scoprendo nel corso del racconto che i due avevano una relazione omosessuale. Dico: immagino che in Cina l’omosessualità sia ancora vista con sospetto. Lui da una risposta strana: dice che l’omosessualità femminile ancora ancora, c’è tolleranza, ma quella maschile è proprio negata, in pubblico.

E allora lo vedo: Zhou Kai indossa un cerchietto. Nero come i capelli, sottile, gli tiene indietro la frangetta e scopre la sua fronte ampia, aperta.

Intanto mi aveva dato qualche prima notizia di sé. Che lavora in una radio locale, che studia comunicazione radiofonica (la editor suggerisce: hai una bellissima voce, è il tuo mestiere), e fa da speaker al giornale radio, spera gli affideranno una trasmissione tutta sua. (Non è proprio Chengdu: a due ore di viaggio dalla capitale del Sichuan c’è la sua ‘cittadina’: Le Shan, solo due o tre milioni di abitanti – sede del più grande Buddha d’Asia, dicono le due donne che ci fanno da corona – zona densa di folklore e leggende popolari).

Zhou Kai ha cominciato a scrivere solo un anno e mezzo fa, a parte le poesie che componeva quando ancora andava a scuola. La scuola: quante cose incolori gli è toccato di leggere. No: lui un paio di anni fa comincia a studiare la letteratura del mondo per conto suo: e prende romanzi di Hemingway, Nabokov, Marquez (si comincia sempre con i nostri, per cortesia nei confronti dell’interlocutore venuto da lontano) e soprattutto scrittori cinesi di epoca Ming e Qing: e li copia! Mi spiega di ritenere questo il modo migliore per impadronirsi della lingua. Dice che è il modo migliore per giudicare i loro lavori, capire il migliore o il peggiore, dentro alla frase stessa, nello stile, nella lingua.

Quando gli chiedo come viene fuori dunque la propria scrittura, quali scelte stilistiche ha adottato, risponde: “una scrittura piana e molto emotiva, marcata”. E’ una traduzione di interprete, questa, e chissà come suona in cinese: lo vedremo, ho dato in traduzione qualche sua pagina, avrò modo di.

Nel suo secondo racconto (come il primo mai pubblicato), decide di rifarsi a Nabokov (ora: io credo che questo allenamento agli stili, alla versatilità, non possa essere che una grande scuola, e una grande scelta di autoistruzione: studiare gli altri per impratichirsi di sé stessi: è questo che ha tanto colpito Ou Ning, in un ragazzo di ventidue anni che ha iniziato a scrivere da poco, e non studia lettere all’Università). Il racconto si intitola Omicidio Contromano. Perché fin dall’inizio tu sai che c’è stato un omicidio – e dagli con gli omicidi – quindi parti dalla fine (è Lolita?), ma non sai in che modo è avvenuto: segui invece il percorso mentale della donna che considera tutti i modi possibili per mettere in atto il suo piano. E’ una donna di 28-30 anni, che vive, come tutte le donne di quell’età nella Cina contemporanea, una fase di grande stress sociale: DEVI fare un figlio (unico), dopo sei troppo vecchia, e morirai sola. E’ il tema della famiglia impossibile / inevitabile, il tema delle relazioni tra uomini e donne. Gli cito il mio amico Zhu Wen, che spesso proprio di questo tratta: Zhou Kai se ne dice influenzato (cortesia? piaggeria? Ma cita un suo racconto che non conosco, Accarezzare la Testa del Cavallo). Perché Zhu Wen sa scrivere con durezza, sostiene.

In realtà il suo modello è il modernismo cinese: uno spazio un po’ troppo ampio di indagine. Gli dico che la sua generazione è fortunata: gli scrittori più in là con gli anni raccontano la difficoltà di formarsi su quei testi, in particolare quelli della prima metà del secolo scorso, censurati dal ’49 fino alla metà degli anni ottanta. Loro (tutti insieme, in coro, lo scrittore e le due donne) mi dicono che è impossibile, che qualunque scrittore, si è formato su quei testi: si trovava il modo di leggerli, prima o poi (ma penso che l’equivoco sia dovuto al termine modernismo: dal 18° secolo alla fine della seconda guerra mondiale: e gli autori censurati erano quelli degli anni venti, trenta, quaranta). Il suo autore modello è Shen Congwen, notissimo autore dell’Hunan che combinava nei suoi romanzi il cinese classico con il dialetto (era di etnia Miao, una minoranza insediata al confine tra Cina e Vietnam): combinazione  che a quanto pare tenta anche Zhou Kai con il Sichuanese (mi disse la stessa cosa Gei An, anche lei di Chengdu). Shen Congwen è quasi un mito: con il ’49, quando gli comunicano che la letteratura non è più libera, e comprende che le restrizioni sono fortissime, Shen Congwen ha un vero e proprio crollo, e non riesce più a scrivere.

Poi, nuovo atto di cortesia, il mio autore col cerchietto cita tra i suoi modelli Calvino.

Ma allora proseguiamo così, cronologicamente. Il terzo racconto della sua ancora breve carriera letteraria. E’ il primo pubblicato da Chutzpah: ha per protagonista un ermafrodita.

Siamo negli anni ’30 – ’40, in un piccolo villaggio, dove tutti sono imparentati al punto di portare lo stesso cognome, Guo, arriva uno straniero, che di cognome fa Zhang, un criminale affiliato a qualche società segreta, costretto a nascondersi lì: il villaggio non sa nulla di lui, ma è comunque un estraneo, il cognome così differente è uno scandalo vero e proprio, e lui non riesce a farsi accettare. Romperà l’accerchiamento sua figlia, innamorandosi, e iniziando una relazione molto intensa con un ragazzo del luogo. Un Guo, certo: e paradossalmente sarà il padre a non accettare questo meticciato, fino al punto di uccidere il ragazzo, annegandolo nel fiume. La figlia, che è già incinta, reagisce con un atto estremo: va  aletto con il padre del defunto fidanzato, colui che sarà il nonno del suo bambino, ed è in quel momento che prende il via la mostruosa trasfigurazione: cambiano i suoi lineamenti, assume tratti maschili sempre più marcati. Il bambino nasce bastardo: per la tradizione locale porterà sfortuna, e la sua nascita provoca infatti una alluvione: o almeno, così dice lo stregone del villaggio, che maledice il bambino. La donna completa allora la propria trasformazione in maschio.

Il racconto si intitola ‘L’uomo Yin Yang, primo e secondo volume’. Secondo Zhou Kai nella prima parte del racconto emerge la natura sensuale della protagonista, nella seconda, quella emotiva. Si conclude con la trasformazione del padre in narratore orale (!): e non riconoscerà la figlia diventata un uomo.

Zhou Kai ci spiega che solo adottando una forma di scrittura nuova, innovativa, si è sentito in grado di esprimere le due dimensioni, sensuale e emotiva: io, altro non potrò fare che attendere una traduzione! E ci sarà molto da discutere con la traduttrice, di questa lingua di Zhou Kai.

La editor che è qui con noi (immagino la sua casa editrice già stia facendo il filo a questo giovane autore) conferma: quella di Zhou Kai è una lingua diversa, originale, e mostra una unicità stilistica. A suo avviso di forte influenza modernista.

Io non posso che chiedere del suo percorso formativo, al di là delle letture (e riscritture) recenti. Come mai non ha studiato letteratura, ma comunicazione radiofonica?

Dice che gli piace. Che genitori e professori delle medie lo hanno indirizzato su quella strada, proprio perché ha una bella voce. Accenno brevemente alla pressione famigliare, come tema tipico per molti autori cinesi più giovani. Lui nega, minimizza: lo fa con uno sguardo e una padronanza di sé che mi dicono: io sto facendo quello che voglio. Sono un adulto. Menziono – devo dirglielo – Ou Ning, che aveva accennato a come lui appaia più vecchio di quanto non sia. Nessuna falsa modestia da parte di Zhou Kai: sì, me lo dicono spesso.

Continuiamo con lo stesso ritmo: passo dopo passo arriviamo al quarto racconto: è l’ultimo pubblicato da Chutzpah, ma primo di una serie di dieci (il secondo e il terzo sono già in fieri) che andrà a comporre un volume che lui definisce come la serie dell’adolescenza e pubertà.  In italiano mi viene tradotta la locuzione: immaginazione sessuale. E quindi abbiamo un ragazzino (un maschio, dice lui, di sedici anni) che sviluppa una forte attrazione per la professoressa quarantenne. Non è la professoressa a sedurlo, ma quando si accorge delle sue attenzioni le accetta, fino al punto di spoglia davanti a lui. I due non hanno una relazione sessuale, il racconto, ci tiene a puntualizzare Zhou Kai, non è erotico, si limita a esplorare  l’immaginario erotico dell’adolescente senza scivolare nel pruriginoso, neppure nello strano atteggiamento della professoressa, che si limita a reagire passivamente alle attenzioni ricevute, come per una sorta di trance. Poi, mentre già la donna si riveste, i due vengono scoperti da una compagna di classe del ragazzo: che lo ricatterà insieme ad alcune compagne: e sarà un ricatto sessuale.

E’ la vita di provincia, mi dice, ancora lontana dall’erotismo esibito delle grandi metropoli, a permettergli questo approccio semplice, naturale. E la provincia è uno dei suoi temi. Rispetto alla ‘narrativa rurale’ degli anni ottanta (i Mo Yan, per intenderci, e la sua generazione), qui si rovescia il rapporto: la provincia è urbanizzata, e appare il luogo dove si forma la spina dorsale della nuova classe media.

A una mia osservazione sul rapporto stretto, di rispecchiamento, tra lo scrittore e il suo pubblico (intendevo dire: è in questo rapporto che può nascere una sorta di autocoscienza della middle class nascente, o almeno di presa di coscienza di uno status privilegiato, di un orizzonte sociale), lui risponde equivocando, ma la risposta è interessante. Dice che non vuole nessun condizionamento da parte del mercato (risposta sincera, o a mio puro beneficio?), perché crede nella totale autonomia dello scrittore. Come non essere d’accordo.

Poi mi da un’opinione atipica: dice che gli anni ’80 e ’90 erano più liberi di quest’ultimo decennio abbondante: perché il condizionamento del mercato è, in questo momento, peggiore di quello della censura. Bella tematica, da approfondire. (Un flash: Eric Abrahamsen, traduttore americano che dice: gli scrittori più giovani oggi non si lasciano il tempo di scrivere: dopo sei mesi la novella è pronta e cercano disperatamente una pubblicazione, e sono pieni di invidie gli uni nei confronti degli altri: tu hai avuto successo, io no: e questo nuoce alla produzione letteraria: è un discorso che cercherò, una prossima volta, di approfondire proprio con Zhou Kai).

Postilla: quando gli dico che nelle abitudini sessuali la sua generazione probabilmente ha indotto una piccola rivoluzione rispetto al passato, lui mi dice di no. Non c’è stata nessuna rottura, né le generazioni precedenti erano particolarmente chiuse o bigotte (anzi!), né i più giovani sono più aperti.

Ci rivediamo nel Sichuan.


Categoria: Cina



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