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Cina: censura, autocensura, omertà, gattopardismo

E magari anche un po’ di confusione, perchè di questi tempi è difficile far discorsi lineari, argomentare: sulle nostre responsabilità e corresponsabilità nei confronti di un paese che è, non dimentichiamolo, una dittatura.

E’ più carino raccontare un incontro, una conversazione, una faccia, un luogo. Ma non posso evitare una puntualizzazione su quel che accade in Cina in questi mesi, perché a volte il piacere di scoprire scrittori, artisti, registi, lo fa dimenticare: trattasi, ladies and gentlemen, di dittatura.

Più che la censura stessa e la repressione, è il modo in cui questa viene accettata e riassorbita dalla società, anche da quella letteraria o intellettuale, a lasciare perplessi: tutti si autocensurano preventivamente, non solo gli scrittori in quel che scrivono, ma anche in quel che dicono, anche in privato.

A inizio ottobre Xi Jinping riunisce 62 artisti, scrittori, giornalisti, registi e spiega che le loro opere dovranno evitare lo scimmiottamento di modelli intellettuali. L’arte deve servire la patria. C’è preoccupazione, si scorre la lista degli invitati alla riunione (spicca Mo Yan). Una decina di giorni fa ANSA e AGI battono la seguente notizia, ripresa dalla Xinhua cinese: scriptwriters, registi, troupe, produttori tv e cinematografici sono invitati a passare del tempo nelle campagne, tra i contadini poveri e in particolare nelle zone di confine abitati da minoranze etniche. Mentre la nostra Repubblica ne fa subito burletta, come fosse una nuova rivoluzione culturale con gli intellettuali inviati a zappar la terra, qui fatico a trovare risposte. Parlo con due registi, una persona che lavora in tv, e dicono che non ne sanno nulla. “Forse è un esagerazione”. Poi un italiano che collabora con CCTV mi conferma: sì, si organizzeranno dei seminari di un mese o più, gruppi di cento persone.

Un inglese che vive in Cina da sempre – e si sente cinese – mi dice: è una guerra, questa. Stanno combattendo la corruzione e devono modernizzare il paese. Normale che gli intellettuali vengano arruolati. Giro la domanda agli amici cinesi. Un editore: non sa niente delle campagne, e per quel che riguarda la riunione dei 62: vedremo cosa succede. Un amico scrittore pure nulla sa. Ceno con un altro scrittore e un traduttore americano: non ci sono indicazioni precise. E’ solo per caso che incappo, via twitter, in un articolo del PEN International Center: denuncia l’arresto di 4 persone a fine novembre, un editor, uno scrittore, un libraio e un editore.

E allora perché nessuno me li nomina?

Sì, mi rispondono, cinesi e europei. E’ un periodo difficile. Poi cambiano discorso. Ecco: si cambia discorso. Allora ricordo quel giorno, a un dibattito a Pechino, l’importante scrittore italiano che disse: durante il fascismo in Italia tutti erano fascisti. Lo abbiamo odiato in tanti, quel giorno, scrittori italiani e scrittori cinesi.

E qui davvero bisogna fare attenzione a come ci si schiera, agli effetti di quel che si fa, a non dare la croce addosso a chi cambia discorso, ma anche a non lasciar passare spifferi, concessioni, come se la libertà d’espressione fosse un optional. Vedo rilanciare dotte discussioni su: è la democrazia ‘di tipo occidentale’ adatta alla ‘cultura cinese’? E si cita Confucio. Sotto sotto, il dibattito è agghiacciante: è la democrazia il miglior contesto per la crescita del PIL? Si comprende che i soggetti di questo dibattito siano – anche – i padroni dell’economia, in Cina e nel mondo. (Per altro: è la democrazia un valore in sé nella cultura occidentale? Studiammo di imperi, teocrazie, la pratica one man one vote – women più tardi – si è imposta in tutta Europa poco più di un secolo fa: i nostri Confucio nei secoli passati manco sapevano cosa fosse).

Poi mi raccontano che le istituzioni, qui, stanno organizzando lo sbarco di un gruppone di autori cinesi alla Fiera di New York, fine maggio: si preparano liste. E, pare, ci sono anche le liste nere.

Insomma, dalla censura all’autocensura, e pian piano all’omertà. Dei cinesi – che rischiano la galera, e viene alla mente il gesto che qualcuno ogni tanto mi ha fatto, i polsi uniti, come ammanettati – per legittima paura. Di qualche occidentale, per convenienza, per abitudine allo slittamento morale – tanto denaro governativo sta piovendo su chi si occupa di cultura cinese.

In Italia si chiamò gattopardismo, originò nella terra dell’omertà.

 

 


Categoria: Cina



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