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Meticciato

La copertina del CD di Brian Gomez

La copertina del CD di Brian Gomez

Blues a Kuala Lumpur. C’è una sorta di innocenza in questi ragazzi. Una malay indossa il velo d’ordinanza ma è fucsia, perfettamente coordinato col rossetto. Un’altra, come hanno imparato a fare in molte,  lo ha acconciato in modo da formare una leggera visierina, e le code sono arrotolate intorno al collo come una sciarpa. Con un piede appoggiato alla ringhiera e il gomito sul corrimano sta telefonando, alta e flessuosa è più sexy che mai: la Sharia mentecatta che si applica in questo paese porta a paradossi salutari.

Le malay velate siedono ai tavolini del Doppel Cafè, a ridosso del Central Market, uno spazio che la piccola comunità underground ha ottenuto per i suoi concerti dal vivo. La platea è ridotta al minimo, saranno una cinquantina di persone, ma di tutti i colori possibili e immaginabili. Uno dei bluesman è chiaramente meticcio, parola che si utilizzava un tempo ma pare caduta in disuso alle nostre longitudini, dove chi non dimostra purezza Wasp è comunque negro. Qui ci sono i cinesi, gli indiani come Brian Gomez, i bianchi anglosassoni allampanati, e i malay – mi han detto che i maschi, sessualmente, venivano considerati delle macchine da guerra, ma va detto che qui la colonizzazione fu olandese, e poi in parte britannica. Ci son passate le armate del Giappone imperiale e quelle della Regina d’Inghilterra, i cinesi sono oltre il 30% della popolazione totale: chiaro che i malay non hanno rivali.

Il meticciato qui è uno schianto, e vedere ai tavolini questi ragazzi – forse c’è qualche trentenne, ma il nostro Brian a trentasette anni è un evergreen che strappa applausi e entusiasmo – è una festa per gli occhi. Un gruppo di ragazze canta in malay, dedica la canzone a una femminista nota nel paese, capisco che l’omosessualità femminile qui possa essere esibita (vedo un gruppo di cinque e c’è la malay, le cinesi, la bianca e di nuovo una faccia indistinguibile, ed è questa indistinguibile meticcia che dopo un po’ di moine si porta via la cinese più carina, che consola con un bacio l’altra sua conterranea abbandonata, terrea per la sconfitta). L’omosessualità maschile non traspare, quanto meno apertamente: è più difficile. Di nuovo ho la sensazione che in questi paesi – Singapore gli somiglia – l’omosessualità abbia fornito il grimaldello alla rivolta generazionale che si è recentemente espressa nel bersih– e poi bersih 2.0, e bersih vuol dire pulizia – l’equivalente malese delle primavere arabe, ma connotata generazionalmente: il quasi quarantenne Brian me ne parla come di una banda di ragazzini un po’ esaltati, che si sono autoconvocati via facebook, come sempre, ma la cui interrazzialità costituiva e costituisce il tratto rilevante, quello che da la cifra a una rivolta che scardina le convenzioni: perché qui c’è un governo malay che usa il fondamentalismo religioso per differenziare il proprio gruppo etnico, ma fa poi da gabinetto d’affari a una business class – mica male il neologismo, no? – in maggioranza cinese ma non solo. Il gioco politico di contrapposizione tra malay e cinesi salta per aria a Kuala Lumpur (solo, purtroppo, a Kuala Lumpur, nel resto del paese è buio profondo) al cospetto di una liberazione sessuale strisciante che si muove a colpi di musica: non solo rock blues nostro, in questa sala si canta anche in lingua malay e le forme del blues sono contaminate da melodie tradizionali, cantate in coro dal pubblico.

La trasformazione di Brian, sul palco, è prodigiosa. Comincia sparato, un’energia sopra ogni riga che non gli ho mai riconosciuto quando ci siamo incontrati, nelle chiacchiere come nelle interviste, tantomeno a contatto della sua Melanie con la quale è dolcissimo, direi in cerca di protezione, ma anche nel tentativo di lenire ogni sua – di lei – possibile lagnanza: non fa una vita facile con Brian, Melanie.

Qui si trasfigura in popstar, tiene il pubblico in mano, gigioneggia con i suoi pezzi in inglese e in malay. Ascoltando il disco – la sua band si chiama The Have Nots – mai lo avrei pensato in quel modo, né lo avevo visto cosi le ultime due volte che l’ho sentito suonare. Ma soprattutto Brian si dà con tutta l’anima, alla Bruce Springsteen. Capisco che qui il contesto è particolare perché l’istrionismo era caratteristica comune anche dei precedenti musicisti sul palco. Ma è lui, Brian, quello che ci presenta molte facce di sé, tra ruggiti e moine.

La trasformazione di Brian, negli anni è però anche fisica: lo avevo conosciuto come un ragazzo piuttosto grosso: e alto, e mi pareva avesse il fisico del ruolo da bluesman al bar, con tanta birra in corpo e la tela di jeans dappertutto. Adesso, forse tre anni dopo il nostro primo incontro è sorprendente. Magro asciutto, direi quasi bello con quei baffi appena accennati. In ogni caso un uomo. Quando chiedo come abbia fatto, e mia moglie vorrebbe gli ingredienti di questa dieta miracolosa, lui risponde che in effetti non lo sa. I casi sono due: o la tensione di questa sua vita indefinita lo mangia vivo, oppure ha semplicemente smesso di bere: in questi due giorni con me non ha toccato neanche un goccio di birra.

La tensione si: io credo che questo ragazzo di trentasette anni con l’energia di un Bruce Springsteen giovane e un’istrionicità da animale da palco e poi, invece: la timidezza che esibisce in modo evidente con chi lo saluta qua al Doppel Cafè, per non parlare dell’atteggiamento che ha avuto con me all’inizio (e in alcuni incontri più recenti: credo che l’anticipo che gli ho voluto versare lo metta in ansia ogni volta che mi faccio vivo con frequenti stopover di poche ore a KL: lo incontro in genere nella lounge dell’Hitlon che si raggiunge dall’aeroporto con mezzora di treno (il treno più veloce del sudest asiatico, declamano fieri), luogo deputato ai miei ultimi incontri malesi), ed è chiaramente fuori luogo. Un giorno è arrivato con gli shorts e una maglietta bucata in mezzo a un pubblico di businessman di tutto il mondo in blazer, e, un pochino, puzzava pure: gli occhi sbarrati, aveva paura di: di me, degli altri, della sua vita.

Non faccio che ripetergli: prenditi il tuo tempo, non ho fretta che tu concluda il Malesia Blues parte seconda. So che lui la scrittura ce l’ha nel sangue, non sarà un fine letterato ma l’immaginazione , l’inventiva, la fantasia esuberante che mette nei suoi mistery grotteschi, e la verità semplice che sa raccontare sulla malesia interetnica dei cento poteri – cosa che ne fa un piccolo idolo pop a KL – va incoraggiata. Capisco come lui sia da anni in cerca di una posizione comoda dove sedersi: avere un lavoro sicuro, non granché pagato magari, perché gli basta metter giù la rata del mutuo, poi Melanie si occuperà di fare la spesa con il suo salario da giornalista radiofonica. Ha fatto per anni il copy in pubblicità, ma quella scrittura lo distrae: vuole star tranquillo, avere la testa sgombra e scrivere: mentre mi racconta la trama del secondo libro mi accenna a quella del terzo e mi spiega la struttura di un quarto ancor più complesso nell’intertestualità.

Oggi, all’Hilton per un’intervista con me, è più rilassato, ieri sera mi ha portato a cena e io di nuovo gli ho detto: take your time. Mi ha mostrato il posto dove lui e Melanie vogliono aprire un bar bookshop, con stage per la musica: un posto più grande di quel che potessi immaginare che lui sta ristrutturando con le sue mani: dice che dopo il lavoro fisico torna a casa – dieci minuto a piedi da lì, quartiere residenziale middle class – e scrive. Io spero possa inventarsi una impresa redditizia e non un mal di testa continuo. Ma che devo fare: comprargliene tre, di libri? E come può un anticipo bastare a mantenerlo? Gli racconto di Simenon che scrisse duecento liberi in una vita e sicuramente faceva parte di quella schiera di scrittori che facevano la fame, che vivevano da bohemien: ma concordo con lui che non c’è più uno spazio per una vita siffatta, nel nostro mondo middle class, sia esso Italia o Malesia, troppa è la pressione d ambiente.

Chi sei cosa fai? Il successo deve venie subito e se non viene sei un fallito. Non esiste una comunità intellettuale e artistica di riferimento, che coccoli i tuoi faticosi e lentissimi esordi, perché oramai purtroppo anche gli artisti – e gli scrittori, maledizione –  HANNO SUCCESSO, stanno i tv: e non lontani dalle luci della ribalta come dovrebbero, tranquilli, sereni, a scrivere. E mi pare che questo mio discorsino lo acquieti, la sera quando arriva al Doppel lo vedo particolarmente rilassato: mi piace questo suo modo di essere. Come posso incoraggiarlo a restare così?


Categoria: Malesia



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