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Una rivista letteraria in italiano, dalla Cina

Una rivista letteraria in italiano, dalla Cina
Caratteri, una selezione di racconti tradotti in itailano dalla People’s Literary Review di Pechino

 

C’è una nuova rivista letteraria, in Cina, ed è scritta in italiano. Si chiama Caratteri, è pubblicata dalla pechinese Foreign Languages Press, che già produceva Pathlight in inglese: ambedue sono traduzioni (Pathlight è trimestrale, Caratteri per ora prevede cadenza annuale) dalla qui famosa Rivista di Letteratura del Popolo: la rivista ufficiale, il mainstream della produzione letteraria cinese, quella accettata e accettabile dal regime. Caratteri ne presenta degli estratti, selezionati con intelligenza da due donne italiane, due amiche, e traduttrici per la mia Metropoli d’Asia.

Patrizia Liberati vive a Pechino da più di ventanni, si è sposata ed è diventata madre qua, per scelta e con la determinazione di chi dalla Cina si lascia affascinare. E’ traduttrice, a suo dire, quasi per caso: da quel giorno in cui la già nota Mita Masci, passeggiando con lei tra gli scaffali di una libreria, individuò un volumetto di Mo Yen, e le disse: perché non traduci questo? Patrizia era a Stoccolma, con tutte le traduttrici di Mo Yen, quando gli venne consegnato il Nobel.

Al lavoro presso l’Istituto Italiano di Cultura e al lavoro di traduttrice (presto ci consegnerà un romanzo), ora affianca anche questa curatela. Instancabile e stanchissima, a Patrizia piace occuparsi di scritture in Cina, lo fa per passione: e mi fa pensare ai molti scrittori che qui, in Cina, rivendicano con orgoglio: scrivere non è una professione. Scrivere è ben altro.

Silvia Pozzi affianca l’attività di traduttrice a quella accademica, ma mi è sempre parsa scevra dallo sguardo necessariamente irrigidito che le accademie hanno per le letterature (e, soprattutto, le accademie italiane per le letterature dei paesi lontani).

Silvia è a Pechino appena può, ci siamo incontrati nel gelido gennaio scorso, lei si era presa uno dei tanti virus influenzali che girano qui, l’avevo aiutata a riscaldarsi con una tazza di gingerlemon tea. E parlavamo del comune piacere nel frequentare gli ambienti letterari pechinesi. Meglio: nel frequentare gli uomini e le donne, gli scrittori, gli editor. Della facilità con cui qui la relazione da professionale scivola immediatamente su un piano personale. Non ci si nasconde: chi scrive lo fa per aprirsi, per quanto può, e se spesso gli scrittori manifestano timidezze e ritrosie, non si mascherano dietro quel gelo professionale che troppo spesso impera nella nostra italietta, dove tutti vedono in te solo un collega, un ‘competitor’, l’editore da spolpare, il traduttore da sottopagare.

In Cina, facilmente, si passa semplicemente del tempo insieme. Ed è condividendo questo spirito che Silvia Pozzi, insieme a Patrizia Liberati, è oggi una delle maggiori esperte di narrativa cinese contemporanea: sa percorrerla, consumando le suole delle sue scarpe e le gomme della sua bicicletta a quindici sottozero o quaranta sopra.

Due donne che apprezzo dunque, così come apprezzo alcune delle loro scelte per la prima edizione di Caratteri (sarà su Amazon a partire dal 12 settembre). Intanto la decisione di proporre autori (ne leggiamo in traduzione dei racconti brevi), inediti in Italia, e che meriterebbero più attenzione. Spesso sono autori relativamente giovani (trenta e quarantenni): di qui, credo, la difficoltà a imporsi presso un pubblico, il nostro, che dalla Cina cerca ancora racconti un po’ favolistici, lontani dalla contemporaneità.

Gli autori che cerco io, e infatti negli archivi di www.indirettadallasia.it si trovano i miei incontri con A Yi, Lu Min, Di An, e a breve scriverò di Sheng Keyi e Liu Cixin: lei, quarantenne, scrittrice di immagini potenti, famosa in patria per un Northern Girls che mi dicono penalizzato da una non buona traduzione in inglese, storia (tratta dalla propria esperienza) di quattro ragazze emigrate in città; lui, cinquantenne, autore di fantascienza, una sci-fi molto classica con tanto di astronavi e viaggi interstellari, ma capace di tenere i piedi a terra, nella realtà sociale della Cina contemporanea: e fa strano ritrovare in Cina una fantascienza ‘positivista’, che crede nello sviluppo tecnologico: nell’homo faber di cui noi, in occidente, ci siamo ormai disamorati. Ma tant’è: loro vivono un tempo differente dal nostro (e sarebbe questo buon materiale per un romanzo di fantascienza…).

Un piccolo appunto a Caratteri: trattasi, comunque, di un altro tassello di softpower cinese, questo è indubbio. Il comitato di redazione (tutto cinese) ha evidentemente imposto di aprire con un racconto di tale Tie Ning, presidente dell’associazione nazionale degli scrittori cinesi, sconosciuta a molti. E alcune scelte sono chiaramente d’apparato. Altre per nulla: brave le mie amiche editor per aver saputo inserire ad esempio A Yi, che non è membro dell’associazione, ma è un grande scrittore (che spero di pubblicare più in fretta possibile).

Un colpo al cerchio un colpo alla botte, insomma. La Cina diventa di necessità il paese del compromesso, anche se io resto convinto che l’editoria occidentale dovrebbe farsi paladina (paladina!) di una richiesta di maggiore libertà e apertura ai censori (e ai promotori) cinesi. E insomma lasciateli scrivere, no? Se no non lamentatevi che poi, fuori dai vostri confini, i cinesi trovano pochi lettori.

E’ in un cul de sac, il softpower cinese. Se chiudi il Festival del Cinema Indipendente di Pechino chiudi una palestra per cineasti. Se inibisci la loro creatività confezioni prodotti sotto tono.

Complimenti in ogni caso alle mie due amiche, editor, traduttrici, soprattutto per l’ampia sezione dedicata alla poesia che nel Paese di Mezzo, di riffa o di raffa, appare sempre carica, per tradizione recente, di una cifra sovversiva: che ci vuol poco, in Cina.

 

 


Categoria: Cina



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