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Digressioni malesi attorno a un libro che non c’è / 4

Strana Malesia. Una fiera intitolata Sexsualiti merdeka, i reading in lingua inglese. Una letteratura malay ambigua, ma da esplorare. E questo l’ho fatto.

Ho incontrato Faisal Teherani. Con una posa da chierichetto mi aveva offerto la sua erudizione, la sua visione filosofica. Infilò il suo dio da tutte le parti, in qualsiasi possibile anfratto del discorso.

Pensavo fosse un vezzo, davanti all’editore europeo. Poi mi ero letto parte dei suoi romanzi tradotti in inglese: sempre dio mai dimenticato, nominato almeno una volta a pagina, quasi fosse l’io narcisistico di un cattivo showman italiano alle prese con la propria autobiografia. Il driver, si direbbe in inglese, del racconto cattivo, quello che fa male agli eserciti dei lettori.

Non c’è solo Faisal Teherani. Incontrai un degnissimo Samad Said dalla lunga e sottile barba bianca – come l’Albus Silente di Harry Potter, mi ha disse lui, aggiungendo: li ho letti tutti, mi piace moltissimo.

Mi spiegò la necessità dello scrittore malay: fare un suo slalom tra le pieghe della censura. E poi lessi i suoi romanzi, e c’era molto di più che in Faisal Teherani, scrittura, poesia. Ma sempre questo dio onnipresente, ingombrante, che non la smette di tirar per la giacchetta il lettore.

A Singapore, davanti a una tazza di tè, ho incontrato un giorno Isa Kamari. Scrittore di lingua malese e, dovrei aggiungere, di razza malese, di cultura malese, e musulmano come molti malesi, almeno quelli di una certa età. Dei suoi otto romanzi, alcuni sono stati tradotti in inglese. Due di questi, curiosamente, hanno lo stesso soggetto: l’adozione di una bambina da parte di una famiglia malese e musulmana. Una bambina olandese, in Nadra. E una bambina cinese in One Earth, che il mio amico Fong Hoe Fang ha pubblicato con Ethos Books.

Davanti a un tè, Kamari è determinato a raccontarmi le persecuzioni sofferte dal suo gruppo etnico in diversi momenti storici: sotto la dominazione coloniale olandese e britannica, durante l’occupazione giapponese, ma anche nella Singapore indipendente.

Nei suoi romanzi l’intenzione è talmente soverchiante da rendere la lettura difficile a un laico: la religione rivelata impedisce allo scrittore di dispiegare pienamente le sue capacità, che pure sono notevoli. Solo in One Earth questo nucleo indiscutibile sa restare almeno a tratti sullo sfondo.

I romanzi di Kamari sono a tesi, e quindi imprigionati entro uno spazio ristretto, le storie non prendono il volo. Come Said e Teherani, non può prendere distanza dall’oggetto del suo racconto, non è in grado di coglierne i chiaroscuri.

Eppure Kamari è tutto fuorché un fondamentalista. Ottima persona, dallo stile controllato, forse leggermente sofferente di una difficoltà a imporsi perchè autore diverso, islamico, marchiato a fuoco. Mi ha descritto il suo ultimo libro, Embracing the Eclipse, una storia d’invenzione fortemente autobiografica, centrata sulla propria giovanile adesione negli anni settanta a un islam militante. ma non ancora segnato dalle derive successive. A lui appariva l’unica percorribile strada di  riscatto dall’oppressione subita dal suo gruppo razziale.

È un romanzo autocritico, così come Kamari è critico con ogni forma di integralismo contemporaneo. Si dice convinto, come Zaman a Kuala Lumpur, che i movimenti fondamentalisti abbiamo i giorni contati, e ne è contento: «Vorrei far capire quanto ingenua ma onesta fosse la mia carica di ribellione, e come sia stato un errore cadere preda degli assolutismi». Purtroppo la sua scrittura non si discosta mai da un registro apologetico. E da un afflato religioso che, appunto, è assoluto.

Mi regala una perla: non riesce a capire l’ossessione del cattolicesimo nei confronti del piacere sessuale, che l’Islam a suo dire enfatizza come cemento nel matrimonio. E la negazione del diritto al divorzio, che l’Islam invece accetta come normale, prevedendo (ma ce ne sarebbe, qui, da dire) modi e regole per proteggere le donne.

Ho fantasticato con lui sulla trama di un possibile romanzo: una donna musulmana che sposa un cattolico, e non capisce le sue reticenze sessuali. L’ho fatto sorridendo, attento a non offenderlo: lui ha capito. Rideva, mi ha detto: “Vale la pena di pensarci.”

Strana Malesia, che oscenamente vela le sue donne (il 60% circa delle sue donne, le malay) e svela la vivacità delle contraddizioni e dei conflitti che ha creato entro il suo seno. Anche qui c’è stata una primavera dei gelsomini, l’hanno chiamata bersih, pulizia (l’assurdo malese: bersih è scritto anche sui camion della nettezza urbana), e l’anno successivo, quando ormai tutti i ragazzi erano su facebook e twitter, è divenuta bersih 2.0 e qualche effetto l’ha sortito, quanto meno nessuna violenza omicida si è abbattuta sui cortei dei  giovanissimi – sbarazzini assai, velate e non velate le donne – perché il tema della corruzione è al centro del dibattito politico, e su questo il potere monolitico del partito forte malay vacilla.

Malesia che vela: ricordo una serata di gala, invitati alla fiera del libro, a un tavolo nel grande salone, un’ottima cena. Al tavolo editoriali canadesi, australiani e un’interessante anziana coppia di Shanghai. Lei cinese ancora bella e maliziosa, lui bianco con molta interessante storia sulle spalle. La cerimonia – autorità, discorsi vuoti a non finire – è cadenzata da intervalli musicali sorprendenti: rock duro, punk, ragazzi acconciati in fogge abnormi per questo contesto. Vedo sguardi duri tra funzionari dirigenti della fiera, è chiaro che ci sono degli scontri in atto, i conservatori e i progressisti. Arriva sul palco questa ragazza, alta, flessuosa, con una tunica fino alle caviglie e un velo marrone che le incornicia il bel viso come un foulard, le code arrotolate attorno al collo: ha il microfono in mano, canta su una base pop. La signora cinese mi lancia un commento azzeccato: “E’ incredibile: con quel velo è ancora più sexy che se non l’avesse. Ma loro non se ne accorgono.”

I personaggi della prima grottesca storia di Brian Gomez: il Terry Fernandez chitarrista indiano tamil, la prostituta tailandese Devil, il pappone cinese, il terrorista musulmano, il tassista che scorrazza per la città tutti costoro mentre si inseguono l’un l’altro, sotto l’occhio del corrotto governo malese, della Cia e, forse, degli agenti di Pechino. Stanno tutti dentro a questo contesto surreale, a questo teatro sociale, a questa messa in scena.

Brian, fai il bravo. Dacci il sequel.

 

CONTINUA


Categoria: Malesia



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